Bruxelles – Doveva essere il simbolo dell’Unione europea, e rischia di diventarlo in negativo. L'”Europa building”, il nuovo palazzo del Consiglio dell’Ue, non convince, tanto che gli addetti ai lavori preferirebbero che venisse utilizzato il meno possibile, sopratutto in occasione delle affollate riunioni dei leader. Meno spazi a disposizione, stanze per le delegazioni meno funzionali, difficoltà a raggiungere i giornalisti. E poi la logistica, non proprio delle migliori: anziché concentrare i lavori in unico punto, si disperderanno tra il nuovo edificio e quello adiacente, il Justus Lipsius, quello usato finora.
Divenuto operativo con l’inizio del 2017 (e mostrato ai cittadini già il 10 dicembre 2016), per il palazzo Europa è praticamente obbligatoria l’inaugurazione da parte degli Stati membri, tanto più per il significato che tutti hanno attribuito al progetto. L’Europa building venne concepito nel 2004, all’epoca del grande allargamento dell’Ue, quando gli Stati membri passarono da 15 a 25 in un colpo solo per l’ingresso di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Serviva una casa più grande, per una famiglia europea improvvisamente molto più numerosa. Questo significato di inclusione a maggior ragione in tempi di Brexit e Paesi che escono dall’Ue, e il 9 e 10 marzo il vertice dei capi di Stato e di governo si terrà nella nuova sede, nonostante le voci circolate sulla possibilità di tenerlo nella sede abituale.
L’edificio c’è, e adesso che c’è tanto vale usarlo. Questo è invece il ragionamento meno simbolico e decisamente più pratico dello staff dell’istituzione. Far riunire leader e ministri nella nuova struttura significa dare un senso ai lavori fatti (durati da dicembre 2008 a giugno 2016) e ai soldi spesi (321 milioni di euro). Il discorso non fa una piega. Le delegazioni non sembrano però del tutto convinte.
La separazione degli uffici del Consiglio tra palazzo Europa e palazzo Justus Lipsius, i leader con la sala riunioni da una parte – quella nuova – e le sale per le conferenze stampa nazionali da un’altra – quella vecchia –, struttura più piccola (il nuovo edificio ha una superficie pari a circa un terzo di quello usato finora), sono tutti elementi che sollevano più di qualche dubbio sull’effettiva funzionalità di un nuovo sistema che costringerà a fare la spola tra i due edifici attraverso due passerelle. Si rischia di rendere il lavoro meno efficiente, e oltretutto scomodo. Il camminamento che mette in comunicazione i due edifici è aperto per ragioni di sicurezza, il che vuol dire essere esposti alle intemperanze del clima ed essere costretti a girare sempre col cappotto sotto braccio, almeno nel periodo autunnale e invernale. L’Ufficio del presidente del Consiglio europeo ha traslocato però nella nuova sede, ed è difficile immaginare che i leader, in giorni di summit, decidano di stare lontano dalle stanze di chi è chiamato a coordinare i lavori, favorire accordi, mediare tra le parti. Anche solo tenere incontri bilaterali diventerebbe molto più scomodo.
Solo il vertice di marzo dirà se e quanto la doppia sede è gestibile. Non riuscendo a mettere tutti d’accordo, il nuovo palazzo del Consiglio dell’Ue ha però già tradito le attese. Sulla rivoluzione audio-visiva promessa, poi, è stata giù fatta marcia indietro. Il nuovo circuito interno utilizzato per la trasmissione delle sessioni pubbliche dei lavori prevedeva che non ci fosse più l’inquadratura fissa sulla persona con diritto di parola. Le immagini allargate, però, hanno mostrato il clima tutt’altro che attento dei presenti in sala: durante l’intervento dei ministri è già stato possibile vedere presenti sbadigliare, consultare il proprio smartphone, chiacchierare con i vicini o con i collaboratori. Ancora, è stato possibile cogliere il via-vai del personale del Consiglio entrare e uscire, e persino spostare sedie. Non certo una bella immagine per il Consiglio, che ha deciso di tornare al più classifico zoom sulla sola persona parlante (e le uniche quattro persone intorno, a dire il vero). Le telecamere poi, sussurra qualcuno, sono poco stabili e se più persone camminano nei corridoi per gli interpreti (che anche loro lamentano di avere poco spazio di lavoro) iniziano a vibrare. E’ solo l’inizio, per carità. Occorre tempo per collaudare e rodare il nuovo meccanismo. Il palazzo Europa dovrà però superare lo scetticismo più o meno diffuso. In questo condivide in pieno la sfida del momento per l’Unione europea di cui porta il nome.