Roma – Dare un colpo al cerchio di un accordo con la Commissione europea sulle correzioni al bilancio, e uno alla botte del consenso elettorale che si svuoterebbe con la “manovrina” da 3,4 miliardi richiesta: è l’ardua missione che in queste ore vede impegnati il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, con il segretario del Pd, Matteo Renzi, che fa da supervisore, e spinge per il voto anticipato mentre la sinistra del suo partito minaccia la scissione.
In questo quadro estremamente complesso, la risposta che il governo si appresta a inviare ai commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici ribadirà certamente la convinzione dell’esecutivo – in continuità con il precedente – che l’attenzione ai conti pubblici non deve deprimere la già debole crescita economica del Paese. Quindi, niente manovra correttiva, che farebbe “venire uno scompenso” al premier (e a Renzi), ma dei piccoli aggiustamenti, magari non sufficienti a coprire per intero i 3,4 miliardi richiesti ma, sperano Gentiloni e Padoan, in grado di evitare una procedura di infrazione senza pregiudicare la campagna elettorale che il segretario dem sta già lanciando, proprio sul tema della riduzione delle tasse.
Sul suo blog Renzi annuncia che “se dopo le elezioni torneremo al governo dovremo riprendere il ragionamento dall’Irpef e non solo da quella” per ridurre la pressione fiscale. E ricorda che “l’ultima volta che è aumentata l’Iva era il settembre 2013, prima del nostro arrivo: quella volta lì ricordatevela bene perché deve restare l’ultima”. Perché vada effettivamente così, bisognerà ancora una volta disinnescare le clausole di salvaguardia, rinviate al 2018 con la passata legge di bilancio, dopo che l’anno prima erano state rimandate al 2017. Il tema dunque si presta alla campagna elettorale del leader del Pd, che sembra determinato ad andare al voto in fretta.
L’accelerazione rischia però di fargli perdere una buona fetta del Partito: dall’arcinemico Massimo D’Alema al potenziale contendente alla guida del Partito, il governatore della Puglia Michele Emiliano, la sinistra dem chiede un congresso prima delle elezioni per evitare una dolorosa scissione. Un divorzio dal quale, secondo lo stesso D’Alema che rivela di aver già “fatto degli studi”, potrebbe nascere una lista della sinistra che supererebbe il 10%, relegando Renzi all’opposizione o, nel migliore dei casi, a un governo di coalizione (con i centristi e Forza italia) che però lo logorerebbe.
Nella partita c’è però un attore che non occupa la ribalta ma ha un ruolo imprescindibile: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non è un mistero che l’inquilino del Colle non veda di buon occhio il ricorso alle urne con due leggi elettorali diverse per Camera e Senato, nate da due differenti sentenze della Corte costituzionale e destinate a condannare all’ingovernabilità il Paese dopo la consultazione elettorale.
Andare al voto senza un nuovo e armonico sistema di voto rischierebbe di riconsegnare uno scenario analogo a quello in cui si è trovata la Spagna, che è riuscita a formare un esecutivo politico solo dopo due elezioni e un lungo periodo di ‘ordinaria amministrazione’. Un periodo alla fine del quale l’Ue ha presentato il conto in termini di pesanti richieste di aggiustamento dei conti pubblici, una situazione che sarebbe saggio evitare. Per questo Mattarella continua premere per la ricerca di un accordo sulle regole prima di andare alle urne. La cosa richiederebbe del tempo e farebbe arrivare la legislatura alla sua fine naturale o quasi, salvo forzature che però non sono escluse.