Bruxelles – Nessuno deve essere lasciato indietro, nessuno nell’Unione europea deve essere escluso. Questo hanno ribadito i membri del Cese, il Comitato economico e sociale europeo, riuniti ieri in sessione plenaria per l’adozione del parere sulla proposta formulata dalla Commissione Ue per l’istituzione del Pilastro sociale (European Pillar of Social Rights, Epsr). Il sistema per rafforzare i diritti dei cittadini più deboli “deve essere un progetto positivo per tutti”, si legge in una nota dell’organismo consultivo, e contrariamente a quanto proposto dall’esecutivo comunitario, che vorrebbe applicare il Pilastro sociale solo ai Paesi dell’Eurozona, il Cese chiede di estenderlo a tutti gli Stati membri.
Dopo mesi di dibattito in tutti gli Stati membri e con oltre 1800 persone della società civile coinvolte, il Comitato economico e sociale e in particolare i presidenti dei tre gruppi (datori di lavoro, lavoratori e interessi vari) ha redatto le raccomandazioni da inoltrare alla Commissione. Secondo il presidente del gruppo Interessi vari Luca Jahier: “Il dibattito nato intorno al Pilastro sociale dimostra l’importanza del legame che esiste tra il progetto della Commissione e l’Agenda dello sviluppo sostenibile 2030”.
Di fronte all’Assemblea plenaria dell’organismo consultivo dell’Ue, la Commissaria europea per l’Occupazione, Marianne Thyssen, ha accolto positivamente la relazione del Cese. “Nonostante qualche segno di ripresa ci sia stato, negli Stati membri abbiamo più divergenze che convergenze”, ha dichiarato riconoscendo che “rispetto all’anno scorso la disoccupazione è scesa e dal 2012 a oggi ci sono 5 milioni di persone povere o a rischio povertà in meno”, tuttavia “la ripresa resta debole se non affrontiamo l’impatto sociale della crisi”.
Jacek Krawczyk, presidente del primo gruppo del Cese che rappresenta il mondo imprenditoriale, ha sottolineato quanto sia difficile poter conciliare i diritti sociali in una società economicamente depressa e che “senza successo economico nessuno Stato membro può sostenere il suo sistema sociale”.
Tra le misure che il Comitato ritiene fondamentali per poter affrontare le disuguaglianze c’è anche quella del reddito minimo. Gabriele Bischoff, presidente del gruppo dei Lavoratori, ha precisato di non volere il minimo salariale uguale in tutta Europa, ma “le stesse garanzie in tutti gli Stati membri”. Più che altro, nell’Eurozona sono necessari “alcuni strumenti di stabilizzazione automatica che favoriscano la convergenza degli stipendi”, ha spiegato.
Se l’Unione europea riesce a offrire soluzioni ai disagi sociali dei suoi cittadini, secondo Bischoff si impoverisce il terreno in cui crescono i populismi, che “hanno successo perché sostengono che l’Europa non sia capace di risolvere i problemi dei suoi cittadini”.
Non c’è più tempo da perdere non solo per il Comitato economico e sociale, ma anche per l’esecutivo europeo. La commissaria Thyssen ha dichiarato che “non possiamo aspettare la ripresa economica da sola, questa continuerà ad essere debole se non affrontiamo l’impatto sociale della crisi”. Ridefinire i diritti sociali significa anche capire quale sarà il futuro del lavoro.
Non è vero che le trasformazioni nel mondo del lavoro e nell’economia in termini di digitalizzazione e flessibilità, portino per forza di cose all’inevitabile perdita dei diritti sociali. Secondo il Cese “i cambiamenti nel mondo del lavoro dovrebbero essere usati per promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile e un lavoro dignitoso per tutti”.
Ribadendo quanto aveva già detto il Presidente Juncker, la presidente del gruppo dei lavoratori Bischoff ha ribadito che si tratta “dell’ultima chance per l’Europa di riconquistare la fiducia dei cittadini e di tutte le persone che sono state lasciate indietro in questi anni”.