Bruxelles – “Evidentemente in questa Europa c’è qualcosa che non funziona: dobbiamo capire i perché, curare i mali e offrire soluzioni”. Antonio Tajani, il candidato del Partito popolare europeo alla presidenza del Parlamento europeo sta, tra gli ultimissimi, per lasciare i suoi uffici a Bruxelles per tornare a casa sua, a Roma, per le vacanze di Natale. Ma è già con la valigia pronta per tornare nell’Eurocamera a cercarsi i voti, uno per uno, per questa sua difficile sfida. Lui, che del Parlamento è il primo vicepresidente (cioè quello che ha avuto più voti) ha il suo gruppo compatto dietro di sé, lo hanno scelto per acclamazione dopo che in una prima votazione con quattro candidati era stato chiaro che l’unico ad avere un vasto sostegno era lui. Non era scontato; nei mesi che hanno preceduto la presentazione delle candidature l’intenzione di Tajani di tentare la corsa era nota, ma in pochi credevano che i tedeschi, o i francesi, o i nordici in generale lo avrebbero fatto passare. Lui ha lavorato a tenere il fuoco vivo, e quando ha saputo, da lui stesso, che il capogruppo Ppe Manfred Weber non si sarebbe candidato, ha fatto passare ventiquattro ore e ha ufficializzato la sua candidatura. In questa intervista concessa a Eunews ci spiega il perché della scelta, il suo programma e, soprattutto, come pensa di trovare i voti per battere l’avversario più difficile, quello che senza ironia definisce “il mio amico Gianni Pittella”, capogruppo dei Socialisti & Democratici.
Onorevole Tajani, lei non ha più il grande partito alle spalle che aveva fino a qualche anno fa, viene dal Sud Europa, non parla tedesco… Come si è arrivati alla sua candidatura?
Ci si è arrivati su una base democratica, siamo stati gli unici a farlo. Nel Ppe ci siamo candidati in quattro, abbiamo fatto ognuno la sua campagna elettorale, io ho avuto il risultato di gran lunga migliore al primo turno e dunque si è scelto di nominarmi per acclamazione. E’ un segnale che abbiamo voluto dare ai cittadini, di democrazia, di vicinanza: non abbiamo fatto accordi a tavolino. Sul perché poi sia stato scelto io credo che abbia contato la mia esperienza: sono qui in Parlamento dal 1994, sono stato vice presidente della Commissione, sono vice presidente del Partito popolare… ho puntato, e punto, sul mettere al servizio dei cittadini e del Parlamento la mia esperienza, la mia conoscenza di tutte le istituzioni. Sarò il presidente di tutti, ma sarò anche in grado di dialogare con la Commissione e con il Consiglio, due istituzioni che ho conosciuto bene negli anni, sono forte di un’esperienza solida.
In queste settimane i calcoli sulle possibilità che avete rispettivamente lei e Pittella di essere eletti si sprecano. Lei dove pensa di trovare i suoi voti?
In tanti mi hanno votato come primo vicepresidente, ho avuto 452 voti, oltre il doppio di quelli del solo Ppe, più di Juncker come presidente della Commissione e più di Schulz come presidente del Parlamento. Ho avuto preferenze anche dal Pse e dai liberali… mi rivolgo dunque a chi mi ha già votato, dicendo che sono la stessa persona che hanno già scelto una volta. Gli chiedo di rinnovarmi la fiducia che mi hanno già dato.
L’Italia non ha mai avuto la presidenza del Parlamento europeo da quando è eletto direttamente dai cittadini. Questa volta i candidati dei vari gruppi sono quasi tutti italiani, e quelli di punta, quelli tra i quali con ogni probabilità uscirà il nuovo presidente, siete siete lei e Pittella. E’ un riconoscimento che qualcosa nel rapporto tra l’Unione e l’Italia sta cambiando?
Come italiani abbiamo visto il riconoscimento del nostro lavoro. Anche Pittella nel suo gruppo ha lavorato molto bene. Avere un presidente del Parlamento italiano non può che farci essere ottimisti, ma è un riconoscimento anche a tutto il Sud dell’Europa, un fatto che va nel segno di un vero equilibrio, di una non emarginazione del Sud. Ma ricordiamo che il presidente del Parlamento europeo fa un lavoro diverso da quello, ad esempio, dei presidenti di Senato e Camera in Italia, una delle funzioni principali è quella di tutelare il ruolo del Parlamento.
La candidatura antagonista di un popolare e di un socialista sembra rompere un equilibrio istituzionale che reggeva da anni. Nell’Unione si apre un ennesimo conflitto?
I patti si rispettano. Nel 2014 avevamo sottoscritto un accordo con il Pse, in base al quale noi abbiamo votato per Schulz, e non è stato facile per tutti onorarlo, ma lo abbiamo fatto, e poi sarebbe toccato ad un popolare. Qui non c’entra la divisione delle cariche istituzionali dell’Ue, che riguarda solo Commissione, Consiglio e Alto rappresentante, ma non il Parlamento. Il Pse non ha voluto il Consiglio e ha preferito avere l’Alto rappresentante per la Politica Estera, è stata una loro scelta e se ora se ne sono pentiti è un problema loro. Noi non abbiamo rotto nessun patto, ma anzi lo abbiamo rispettato, anche se, ripeto, votare Schulz per molti è stato difficile.
La sensazione è però che si vada verso la fine di una più o meno serena collaborazione istituzionale in Parlamento tra popolari e socialisti, Pittella dice di vole “polarizzare” la politica in Aula…
Non faccio campagna contro altri, non polemizzerò con Pittella. Ripeto: metto la mia esperienza a disposizione e voglio essere portavoce autorevole del Parlamento. Dai socialisti aspetto risposte, la strada che hanno imboccato non so dove possa portare, noi non abbiamo fatto torti a nessuno ed abbiamo sempre rispettato i patti.
Parliamo di un tema più difficile, della vera sfida che il Parlamento ha davanti a sé. Se lei sarà eletto porterà il Parlamento alle prossime elezioni europee, cosa pensa di fare per fermare l’emorragia di elettori che si recano alle urne? Negli anni scorsi sono state fatte grandi e costosissime campagne per invitare al voto, ma sono state evidentemente inutili…
Il mio obiettivo è di riavvicinare le istituzioni ai cittadini. Dovremo comunicare meglio e diversamente, soprattutto attraverso i deputati. Ognuno di loro dovrà avere la responsabilità di rappresentare il Parlamento nel territorio mentre qui o a Strasburgo dobbiamo stabilire un dialogo vero con i cittadini. Per vero intendo fisico, invitando qui i gruppi delle piccole imprese, dei pensionati, dei giovani, degli agricoltori… dobbiamo invitarli in Aula e farli parlare direttamente con i deputati che seguono quelle materie perché spieghino cosa stanno facendo e perché, e magari ascoltino anche cosa la società ha da dire. Voglio spingere la Commissione a lavorare davvero nell’interesse dei cittadini, a dare risposte a chi vota per le forze populiste, il che vuol dire risolvere i loro problemi. È quello che ho fatto quando ero commissario difendendo le imprese e i lavoratori, tanto che il sindacato spagnolo della sinistra, le Comisiones Obreras, ha chiesto, e ottenuto, che al mio nome fosse dedicata una strada in una città dove avevo contribuito a risolvere un grande problema dei lavoratori. O come ho fatto anche ora da deputato, rinunciando a quasi 500mila euro di indennità alla quale avevo diritto come ex commissario, per dare un segno ai cittadini in un momento di crisi. Insomma, basta con Bruxelles regno della burocrazia. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona, dobbiamo capire i perché, curare i mali e offrire le soluzioni