Con una disoccupazione al 10,2%, che schizzava al 22,2 per quella giovanile, lavoro e crescita non potevano che essere in cima alla lista dei problemi da affrontare per il nuovo esecutivo comunitario al suo insediamento nel 2014. “La mia prima priorità come presidente della Commissione sarà rafforzare la competitività in Europa e incoraggiare gli investimenti finalizzati alla creazione di nuovi posti di lavoro”, promise il presidente Jean-Claude Juncker, presentando i suoi orientamenti politici a Strasburgo. Con questo obiettivo in mente l’approccio della Commissione si è concentrato da una parte sul tentativo di rilanciare gli investimenti, e dall’altra soprattutto nel difficile tentativo di proseguire con una politica di bilancio responsabile, da affiancare però con una flessibilità che potesse dare agli Stati membri la possibilità di sostenere la crescita con interventi pubblici.
Dopo appena tre settimane dalla sua entrata in carica, la Commissione ha proposto il cosiddetto Piano Juncker, in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti, allo scopo di mobilitare almeno 315 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nei successivi tre anni attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). La proposta è stata approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio in appena quattro mesi e mezzo. La dotazione iniziale del Feis era di di 21 miliardi di euro: 5 stanziati dalla Bei e 16 dai fondi di bilancio Ue ci cui 8 miliardi di risorse fresche e gli altri ottenuti dal ricollocamento di fondi destinati ad altri programmi. A questi soldi si sono aggiunti i contributi volontari di alcuni Stati membri: altri 8 miliardi promessi rispettivamente da Germania, Francia, Italia e Polonia, 8,5 miliardi dal Regno Unito, un miliardo e mezzo dalla Spagna, 400 milioni dalla Slovacchia, 100 dalla Bulgaria e 80 dal Lusseburgo. Secondo le stime di Bruxelles i finanziamenti fatti finora dal Feis dovrebbero avere la capacità di mobilitare in tutto 154 miliardi, quasi la metà degli obiettivi fissati al lancio del programma. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione Juncker nel settembre scorso aveva annunciato anche l’intenzione di “di raddoppiare la durata del fondo e anche la sua capacità finanziaria”, portando “al almeno 500 miliardi entro il 2020”, intenzione che è diventata proposta alla fine del mese scorso. Finora il principale beneficiario del Piano Juncker è stato proprio il nostro Paese. In Italia l’Efsi ha approvato 20 progetti sostenendoli con 2,6 miliardi, che ne dovrebbero mobilitare 6,8, e approvato 40 accordi con istituti finanziari per assicurare credito alle piccole e medie imprese. Degli 1,3 miliardi di euro stanziati, che ne dovrebbero mobilitare 20,4, beneficeranno oltre 191mila Pmi.
Per portare energia nell’economia l’Ue utilizza anche lo strumento dei fondi strutturali per progetti in cofinanziamento con i Paesi membri, alla fine del 2015 erano già stati erogati sostegni a titolo dei Fondi strutturali per il periodo 2014-2020 a 274mila e fino ad ora quasi 130 miliardi di euro (il 20% della dotazione complessiva) erano stati investiti in piccole imprese, ricerca, banda larga, efficienza energetica e migliaia di altri progetti considerati in linea con le priorità fondamentali della strategia dell’Ue a favore della crescita e dell’occupazione.
Per contribuire a combattere la disoccupazione giovanile Bruxelles punta su un programma specifico, la Garanzia Giovani, lanciato dalla Commissione precedente, ma su cui questa ha investito molto affiancandogli anche l’Iniziativa per l’occupazione giovanile (Yei), che comprende uno stanziamento di 3,2 miliardi all’interno del bilancio dell’Ue, per attuare al meglio la Garanzia Giovani finanziando attività volte ad aiutare direttamente i disoccupati e coloro che sono fuori da ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti ‘Neet’. Dal gennaio 2014 14 milioni di giovani hanno aderito al programma che punta a trovare un’offerta di lavoro, tirocinio o formazione ai neo laureati, e di questi circa 9 hanno ricevuto una proposta, per lo più di lavoro. Il programma in Italia non è sfruttato a pieno, ma sembra stia dando frutti. Seppur la crisi sia ben lungi dall’essere superata i primi frutti di queste politiche più espansive di quelle dell’esecutivo precedente, sembrano portare alcuni risultati positivi: uno studio pubblicato pochi giorni fa afferma che l’anno scorso sono stati creati 3 milioni di posti di lavoro in più, la maggior parte dei quali a tempo indeterminato, e ci sono anche 5 milioni di persone in meno a rischio povertà rispetto al 2012.
Ma è forse con l’apertura alla flessibilità di bilancio, richiesta a gran voce soprattutto dall’Italia, che la Commissione ha fatto i passi avanti maggiori verso una politica meno ciecamente austera e più indirizzata a occupazione e crescita rispetto all’esecutivo Barroso. Juncker e il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, hanno aperto delle brecce nel Patto di Stabilità, concedendo agli Stati membri la possibilità di scorporare dai conteggi sul deficit inizialmente, grazie a due clausole apposite, per le riforme strutturali e per gli investimenti, poi anche quelle promesse ultimamente (nello specifico per l’Italia), per l’accoglienza dei migranti e per i danni del terremoto. Su questa partita la Commissione si sta impegnando molto, anche a costo di andare allo scontro con altre istituzioni come l’Eurogruppo. La battaglia per superare definitivamente la crisi in Europa passa anche da qui.