Bruxelles – E’ tutta in salita la strada del riconoscimento, da parte dell’Ue, della legittimità del decreto che il governo intende adottare per sperimentare l’indicazione obbligatoria dell’origine per la filiera del grano e della pasta in Italia.
Il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ha inviato a Bruxelles una bozza del decreto, condiviso dai Ministri delle politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, per avviare l’iter autorizzativo previsto a livello europeo. Si tratta, infatti, di una misura che ha implicazioni sul mercato interno dell’Ue, e che, prima di essere approvata, deve dunque essere notificata alla Commissione europea. L’Esecutivo Ue ha tre mesi per reagire, e può bloccare il provvedimento.
L’Italia vorrebbe, secondo una nota del Mipaaf, “arrivare a un modello di etichettatura che consentirà di indicare con chiarezza al consumatore, sulle confezioni di pasta secca prodotte in Italia, il paese o l’area geografica dove è stato coltivato il grano e quello in cui è stato macinato”.
Ufficialmente dalla Commissione non ci sono ancora commenti, anche perché la notifica del governo è appena arrivata. Ma a Bruxelles la nuova iniziativa italiana sembra destinata a sollevare più riluttanza e reazioni contrarie che sostegno.
Nei mesi scorsi, la Commissione ha già avuto non pochi problemi – sia interni che esterni, nella discussione fra gli Stati membri in Consiglio Ue – a far passare i provvedimenti temporanei, molto controversi, presi dalla Francia per l’etichettatura obbligatoria dell’origine del latte e anche degli ingredienti a base di carne nei prodotti trasformati, e quelli simili (ma riguardanti solo il latte) presi successivamente da Italia, Lituania e Portogallo.
Otto paesi in Consiglio Ue si sono opposti e hanno chiesto alla Commissione di bocciare le misure francesi, italiane, lituane e portoghesi. Questi paesi (Germania, Olanda, Lussemburgo, Belgio, Polonia, Danimarca e Svezia) considerano che introdurre l’etichettatura d’origine obbligatoria significherebbe rinazionalizzare il mercato dei prodotti agricoli, e contestano il legame, ancorché implicito, che viene fatto fra l’origine e la qualità degli alimenti.
La Commissione oggi, insomma, non sembra avere alcuna voglia di aprire un altro fronte con questi Stati membri più “liberisti”. Inoltre, a Bruxelles sono ben consapevoli del fatto che proprio in Italia i maggiori produttori di pasta, che fanno ricorso in modo massiccio al grano importato dai paesi terzi e in particolare dal Canada, sono fortemente contrari alle nuove misure sull’etichettatura d’origine, che rischiano di diventare per loro un stigma di qualità mediocre. Manca, insomma, come spesso accade purtroppo con l’Italia, una spinta organica e coerente del cosiddetto “sistema paese”.
Fra l’altro, proprio sulle importazioni di grano dal Canada gravano i sospetti e le accuse, da parte di diverse organizzazioni ambientaliste e di difesa dei consumatori, per quanto riguarda la presenza di micotossine (per la presenza di funghi, dovuta al clima umido a quelle latitudini).
Il decreto italiano prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia abbiano obbligatoriamente indicati ed evidenti in etichetta, in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed indelebili, il paese di coltivazione del grano e il paese di molitura, oltre all’informazione (l’unica oggi obbligatoria) sul paese di produzione della pasta.
Se coltivazione e molitura avvengono nel territorio di più paesi, il decreto prevede che possano essere utilizzate, a seconda della provenienza, le tre diciture: “Paesi UE”, “Paesi NON UE”, “Paesi UE e NON UE”. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in Italia, si potrà usare la dicitura “Italia e altri Paesi UE”, oppure “Italia e altri paesi non UE”.
Oltre l’85% degli italiani considera importante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, e in particolare per la pasta, secondo quanto è emerso da una consultazione pubblica online, svolta dal Mipaaf, a cui hanno partecipato oltre 26.000 cittadini.