di Donatella della Porta
Un’analisi tratta dall’introduzione al libro di Donatella della Porta, Francis O’Connor, Martin Portos e Anna Subirats, “Referendums from Below”, di prossima uscita.
I risultati del referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016 confermano la capacità della società civile e dei movimenti di appropriarsi degli istituti di democrazia diretta per portare avanti obiettivi di progresso. La straordinaria vittoria del “no” (quasi 20 punti percentuali di vantaggio rispetto al “sì”), e l’inattesa elevata partecipazione al voto non sarebbero state possibili senza la mobilitazione dal basso di migliaia di persone e di organizzazioni sociali. Questo è solo un esempio delle opportunità aperte dai referendum visti come strumento di una “politica dal basso” che si sono tenuti durante questi anni di crisi.
La grande recessione che ha colpito l’Europa nel 2008 può essere vista come un punto di svolta, che ha innescato non solo trasformazioni socioeconomiche, ma anche cambiamenti politici. Nei paesi più colpiti dalla crisi finanziaria, in particolare la “periferia” dell’Europa, ondate di proteste hanno messo in discussione le politiche di austerità adottate dai governi nazionali sotto la pressione delle istituzioni europee e della finanza – l’Unione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale in particolare. Queste ondate di protesta – spesso definite come il movimento “Occupy” o degli “indignados” – hanno reso visibile la crisi di legittimità provocata dalla palese mancanza di responsabilità da parte delle istituzioni politiche verso le sofferenze dei cittadini. Le proteste hanno preso forme diverse nei diversi paesi, influenzate dagli sviluppi specifici e dalle caratteristiche della crisi finanziaria, oltre che dalle opportunità politiche nazionali e dalle sfide concrete per i movimenti sociali. Queste proteste hanno avuto effetti immediati e a volte molto profondi sul sistema dei partiti, portando non solo al crollo di alcuni partiti tradizionalmente dominanti, ma anche al rapido (e inaspettato) sviluppo di “partiti di movimento”. Questo sconvolgimento politico ha influenzato non solo le elezioni locali, ma anche quelle nazionali ed europee. I movimenti sociali hanno approfittato delle opportunità offerte dagli istituti di democrazia diretta, in particolare attraverso i referendum che sono stati caratterizzati da iniziative politiche “dal basso”.
Molti di questi “referendum dal basso” hanno avuto luogo in Europa durante la “grande recessione”. Il nazionalismo è diventato un focus particolare di dibattito, con i referendum sull’indipendenza scozzese e con lo pseudo-referendum per l’indipendenza della Catalogna. Nonostante i diversi assetti istituzionali, questi processi hanno avuto diverse caratteristiche in comune. Entrambi i casi hanno mostrato che il tardo-neoliberismo ha fatto saltare la fedeltà dei cittadini alle istituzioni rappresentative a livello statale, ma anche che l’insoddisfazione ha portato all’attivismo politico piuttosto che all’apatia. In particolare, in entrambi i casi, si osserva un’interazione specifica tra le élite politiche e i movimenti sociali che hanno cercato di sfruttare le campagne referendarie per far avanzare le loro aspirazioni. L’élite politica scozzese ha convocato il referendum e i movimenti si sono appropriati alla campagna, promuovendo la loro visione di una società più giusta e democratica. In Catalogna, i movimenti sociali hanno lanciato una campagna per l’autodeterminazione e l’indipendenza che ha coinvolto attori istituzionali e élite politiche. La partecipazione dei movimenti nelle campagne referendarie ha ampliato i repertori di azione politica e ha introdotto nuove forme di organizzazione.
Negli stessi anni in Europa altri referendum sono stati lanciati da movimenti sociali che si erano mobilitati contro l’austerità o sono stati caratterizzati da una forte mobilitazione dal basso con l’obiettivo di contrastare le politiche neoliberiste, nel caso dei salvataggi bancari (in Islanda), dei trattati internazionali che imponevano l’austerità (come in Grecia ) o della privatizzazione della fornitura di acqua (in Italia). In questi casi le campagne referendarie hanno assunto particolari dinamiche, con una forte partecipazione “dal basso”, con un importante protagonismo dei movimenti sociali e della società civile.
Alla luce delle conseguenze politiche e sociali della grande recessione in Europa, i “referendum dal basso” assumono un interesse particolare in quanto iniziative politiche che sono promosse o che comunque vedono una grande mobilitazione da parte di attori della società civile, soggetti diversi dalle tradizionali istituzioni intermedie di rappresentanza (ad esempio i sindacati, i partiti, la chiesa e così via) o dai governi. Su questo terreno è importante riflettere sulle connessioni tra le dinamiche dei movimenti sociali e le pratiche di democrazia diretta, due questioni che sono spesso state considerate separatamente anche all’interno delle analisi sulla conflittualità politica.
I referendum abrogativi e le iniziative referendarie dal basso sono le forme più comuni di “referendum dal basso”, ma la nostra definizione si estende anche alle campagne referendarie iniziate da soggetti istituzionali che sono state poi caratterizzate da una forte mobilitazione dei movimenti, con un forte impegno per l’inclusione dei cittadini, per processi di deliberazione e per una partecipazione di massa.
Gli studi sui referendum sopra citati indicano che all’interno della campagna referendaria e della mobilitazione sociale c’è un evidente uso strategico dei “quadri di riferimento” concettuali che definiscono lo scontro politico, in modo da aumentare il sostegno per i movimenti. Data la frequente presenza di coalizioni di attori con diverse ideologie e diverse priorità, una scelta adeguata dei “quadri di riferimento” è molto importante per consentire ai diversi soggetti di lavorare insieme. Tre questioni principali emergono dal punto di vista teorico. In primo luogo, le teorie normative della democrazia hanno sottolineato il principio di uguaglianza nella capacità di influenzare i decisori, e l’autonomia nella capacità di formazione delle opinioni tra i cittadini. Come strumenti di partecipazione e, potenzialmente, di deliberazione, i referendum possono essere considerati coerenti con le concezioni e le pratiche dei movimenti sociali progressisti. I movimenti sociali devono sfidare le istituzioni esistenti, producendo crepe (o per lo meno punti di svolta) nel sistema. Gli studi su una serie di referendum hanno mostrato che il loro esito tende ad essere, in realtà, più aperto rispetto alle elezioni normali, e quindi più influenzato dagli sviluppi nelle campagne referendarie. Tuttavia, la loro qualità partecipativa e deliberativa, così come la loro capacità di aprire nuove opportunità politiche, dipendono da fattori istituzionali e da processi politici specifici, come quelli promossi dai movimenti sociali.
Le opportunità politiche formali e informali influenzano la qualità democratica dei referendum e le possibilità che essi siano caratterizzati da iniziative “dal basso”, come arene di politica conflittuale. L’assetto istituzionale formale del referendum influenza le possibilità di usarlo per sfidare il governo e le élite, ma ogni referendum presenta specifiche opportunità politiche e vincoli per gli attori “dal basso”. La percezione delle opportunità politiche esistenti ha anche un impatto sulle strategie dei movimenti e sull’impegno che sviluppano per allargare la partecipazione e il pluralismo.
In secondo luogo, la ricerca sui referendum ha sottolineato che i modi in cui l’argomento viene definito hanno un effetto importante nel determinare gli esiti del referendum. Anche se apparentemente fondati su una singola questione, i referendum spesso sollevano molteplici domande, e temi paralleli possono essere decisivi per determinarne i risultati. Chi è che definisce le questioni da affrontare è una domanda che nelle campagne referendarie rimane più aperta che nelle elezioni normali. In particolare, la nostra ricerca dimostra l’importanza della capacità di collegare le questioni al centro dei referendum con gli argomenti più generali affrontati dai movimenti. Questi collegamenti avvengono sia sui contenuti sostanziali (come la dignità e l’uguaglianza), ma anche a livello procedurale (come la democrazia partecipativa e deliberativa). Inoltre, quando riguardano questioni tipiche dei movimenti sociali, i referendum possono avere l’effetto di rafforzare il quadro di riferimento delle mobilitazioni, identificando le norme in discussione e gli obiettivi non negoziabili dei movimenti.
In terzo luogo, le pratiche di democrazia diretta hanno mostrato che le campagne referendarie spesso non sono lineari, in quanto sono influenzate da eventi contingenti che possono avere un forte impatto sull’opinione pubblica. I movimenti sociali possono svolgere un ruolo rilevante nelle campagne referendarie in quanto possono introdurre punti di svolta verso una politica conflittuale all’interno della politica convenzionale. La nostra ricerca ha mostrato come l’utilizzo di repertori di azione dei movimenti influenza la dinamica delle campagne referendarie, introducendo, in particolare, una logica processuale che allarga le possibilità di partecipazione dei cittadini prima ancora di ottenere effetti legislativi concreti.
Pubblicato su Sbilanciamoci! il 13 dicembre 2016.