Bruxelles – Antonio Tajani sente già di essere il prossimo presidente del Parlamento europeo. Nel presentare la sua candidatura si mostra tranquillo e rilassato, e piuttosto che usare toni da campagna elettorale, usa già quelli concilianti di chi dovrà rappresentare i diversi gruppi politici. “Ho grande rispetto per candidati di tutte le altre forze politiche, ma sono convinto che il Ppe otterrà il risultato migliore, frutto di una scelta condivisa e non imposta dall’alto”, afferma in conferenza stampa a Strasburgo. “Lavorerò per raggiungere questo obiettivo”, e “sarò il presidente del consenso, non dello scontro”, promette.
Rispondendo ai giornalisti parla in quattro lingue, oltre all’italiano, inglese, francese e spagnolo. Nel presentare la sua candidatura, il socialista Gianni Pittella, aveva parlato solo ed esclusivamente in italiano, anche rispondendo ai giornalisti stranieri. Tajani rivendica la sua lunga esperienza politica in Europa e la sua capacità di ottenere consensi in Aula che vanno ben oltre quelli del suo gruppo politico. “Questa è la mia casa – rivendica – sono arrivato nel 1994, l’ho lasciata per 4 anni per andare in Commissione”, poi in questa legislatura “sono stato eletto primo vicepresidente prendendo più voti di tutti gli altri, conoscono bene ogni membro del Parlamento”, e visto che “il consenso è il voto delle persone, sono ottimista sul fatto che avremo la presidenza con moti molti voti”.
“Tajani è un candidato del sud Europa, a cui stanno a cuore temi come la lotta alla disoccupazione e la questione dei migranti, temi cari a noi popolari”, afferma il capogruppo Ppe Manfred Weber, definendo quella dell’esponente di Forza Italia una candidatura “forte e convincente”. E a Pittella che ha insistito sul fatto che le tre istituzioni comunitarie non possono andare tutte ai popolari, Weber risponde ricordando che questo era il patto fatto con socialisti e liberali fatti a inizio legislatura, un patti di cui i popolari chiederanno il rispetto. “Due anni e mezzo fa – ricorda Weber – con il Parlamento appena eletto, ci siamo riuniti con i diversi capigruppo, all’epoca c’era Martin Schulz per il Pse e Guy Verhofstadt per i liberali”, in quell’occasione “abbiamo firmato un accordo perché nessuno aveva una propria maggioranza”. Dopo la firma di questo accordo, continua Weber, “ho spiegato al mio gruppo che dovevamo votare per un socialista”, ed eleggere Schulz come presidente del Parlamento europeo, “subito dopo le elezioni non è stato facile convincere tutti, ma l’ho fatto con l’impegno che nella seconda parte della legislatura la presidenza sarebbe stata del Ppe”. Questo accordo, sottolinea ancora, “esiste, è scritto e ha la firma di colleghi, rispettarlo è una questione di credibilità”.