Bruxelles – “L’ultima persona che mi ha comprata era un medico iracheno, direttore di un ospedale che torturava tutte le ragazze. Ha violentato anche ragazzine di 9 e 10 anni. Io, la mia amica Kathrin e una bambina di 9 anni siamo state violentate da lui”.
Sembra di leggere una pagina di una storia lontana, che non vorremmo mai conoscere, invece siamo nel 2016 e a parlare di fronte all’aula di Strasburgo è una ragazza yazida poco più che adolescente, 18 anni e segni di ustione sul volto. Si chiama Lamiya Aji Bashar e, insieme ad un’altra giovane donna yazida Nadia Murad Basee, 23 anni, è stata premiata dal Parlamento europeo che ha consegnato alle due attiviste per i diritti umani e vittime dell’Isis il Premio Sakharov 2016 per la libertà di pensiero e espressione.
“Il premio è un riconoscimento molto prezioso per noi”, ha detto la giovane Lamiya, “lo dedico a ogni ragazza che è stata schiava sessuale nelle mani di Daesh e a qualsiasi vittima del terrorismo” e ha aggiunto “Questo premio mi da una forza immensa per questo ho deciso di diventare la voce di chi non ha voce”.
“Quando è arrivato Daesh avevo 15 anni”, racconta Lamiya a 751 europarlamentari europei visibilmente emozionati, “Hanno ucciso tutti gli uomini tra cui mio padre e hanno portato vie le donne. Poi hanno ammazzato le donne anziane”. L’Isis elimina le donne anziane perché “inutili”, mentre quelle giovani non vengono sacrificate, ma ridotte in schiavitù. “Sono stata venduta quattro volte e ogni volta ho provato a scappare, ma sono stata ripresa e torturata”.
Di lei e del genocidio di un popolo non parlano solo le parole che Lamiya pronuncia di fronte all’aula di Strasburgo, ma anche i segni che ha nel viso di giovane diciottenne. Era l’estate del 2014, Kocho, il loro villaggio nel nord dell’Iraq, veniva distrutto dalle truppe dell’Isis. Lamiya stava fuggendo per l’ennesima volta dal terrore degli uomini di Daesh, insieme all’amica Kathrin, la stessa con cui aveva condiviso le violenze sessuali quando, racconta Lamiya, “Kathrin ha messo il piede su una mina e c’è stata un’esplosione terribile. Lei è morta, io sono caduta. Quando mi sono rialzata sapevo di avere ustioni su tutto il corpo e pensavo che non mi sarei più svegliata”. Nadia racconta di essere stata portata in Germania “dove sono stata curata per recuperare almeno la vista di un occhio”.
Lamiya e Nadia appartengono a una comunità, quella yazida, vittima nei secoli di persecuzione e ora di nuovo al centro di uno dei tanti genocidi compiuti da Daesh. “Più di 3500 donne e bambini sono ancora schiavi dell’Isis. Ogni giorno muoiono migliaia di volte”, ha ricordato Lamiya Aji Bashar durante la cerimonia.
Testimone della sofferenza della minoranza yazida è anche l’europarlamentare italiano del Pd Brando Benifei appena tornato da un viaggio nei campi rifugiati yazidi nel Kurdistan iracheno. “Durante il mio breve soggiorno ho visitato il quartier generale della prima linea delle truppe Peshmerga ancora impegnate a respingere l’Isis dall’Iraq”, ha dichiarato Benifei. “Sono orgoglioso del sostegno che l’Unione europea fornisce alla loro lotta, attraverso atti politici e mezzi concreti come l’aiuto umanitario”.
“Dopo l’olocausto avevamo detto mai più” ha detto il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz consegnando il premio. E invece la storia si ripete ogni giorno in altri luoghi in cui “vediamo città distrutte, uomini uccisi, bambini rapiti e pure le donne ridotte in schiavitù”, ha detto Schulz. “Noi, la società democratica nella parte benestante del mondo a volte rifiutiamo di proteggere e accogliere queste persone ed è vergognoso”. Bisogna dunque che l’Europa apra le porte alle vittime del terrorismo e alle persone che fuggono dall’Isis. Lo ha chiesto anche la giovane yazida Nadia Murad Basee: “Se non ci proteggete lì dove viviamo, aprite le porte dell’Europa e dateci un rifugio, come e’ successo dopo l’Olocausto”.