“L’Europa ha bisogno di una politica estera”, queste sono state la parole del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker nel suo Discorso sullo Stato dell’Unione di settembre 2016 nel quale si è spinto molto avanti dicendo che “Federica Mogherini, il nostro Alto rappresentante nonché mio vicepresidente, sta facendo un grande lavoro. Deve però diventare il nostro ministro degli esteri europeo”. E così sembrerebbe pensarla anche una maggioranza di cittadini europei, che secondo i sondaggi di Eurobarometro vorrebbero che l’Unione europea avesse un ruolo più vigoroso nella scena internazionale.
Tuttavia questi ultimi venticinque anni di cooperazione europea su politiche estere di sicurezza e di difesa hanno dimostrato quanto gli Stati membri dell’Unione restino attaccati alle loro prerogative nazionali e quanto sia stato difficile sviluppare non solo politiche comuni, ma anche posizioni condivise e una visione comune dei rischi e delle opportunità sul fronte internazionale.
Oggi che l’Europa è circondata da una Russia aggressiva nell’Est, da conflitti più o meno latenti in Medio Oriente e Nord Africa, il deterioramento della sicurezza in Asia e una grande incertezza dovuta al presidente eletto degli Usa Donald Trump, la necessità di un forte ruolo internazionale dell’Unione europea diventa sempre più evidente. Questo accade, inoltre, quando uno dei Paesi membri con una storica vocazione globale sta per lasciare l’Ue, la Gran Bretagna. Se poi aggiungiamo a questo i trend demografici e l’impatto del cambiamento climatico, il Mondo si presenta con un futuro instabile che richiederà un grosso impegno da parte delle politiche pubbliche. In parole povere il Mondo diventa più complesso e necessiterà di maggiore collaborazione tra gli Stati, soprattutto quelli più piccoli come quelli europei, per gestire questa complessità e l’incertezza.
L’Europa però come lamentava Juncker è ancora lontana da questa presa di coscienza. L’Alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha posto le basi per una visione comune con la sua European Union Global Stategy, presentato agli Stati membri il 24 giugno scorso. Il documento più che una strategia è in realtà una visione che illustra le sfide globali, gli interessi principali dell’Unione europea e i metodi attraverso i quali l’Ue si prefigge di perseguire quegli interessi. Per ammorbidire le differenze tra Paesi membri che hanno caratterizzato questo ultimo quarto di secolo, il team che ha lavorato sulla Strategia ha adottato un metodo di lavoro piuttosto inclusivo.
Durante i dodici mesi di lavoro sono stati organizzati incontri e riunioni in tutta l’Unione, con il sostegno dei ministeri degli Esteri nazionali, coinvolgendo la comunità di decisori politici ed esperti che hanno facilitato un percorso di avvicinamento tra le posizioni nazionali e verso una visione più condivisa dei principali rischi del Mondo contemporaneo.
La Strategia segue l’ovvio percorso di identificare le problematiche principali e il focus geografico secondo una visione concentrica, concentrandosi dunque sull’Est Europa, sulla Russia, sul Nord Africa e Medio Oriente e poi via via il resto del Mondo. Il documento conferma che l’approccio dell’Unione è di tipo “globale” nel senso che l’Ue tende ad utilizzare una vasta gamma di strumenti nel mettere in pratica la sua politica estera. Ad esempio usa sia strumenti di aiuto allo sviluppo, sia missioni di pacificazione e mediazione, come è sempre stato, dando anche nuovo rilievo allo strumento della diplomazia culturale, sino ad oggi scarsamente utilizzato.
Le priorità dell’Azione esterna sono cinque: la sicurezza dell’Unione, la resilienza degli Stati e delle società a Est e a Sud dell’Unione, un approccio integrato ai conflitti, sostegno a collaborazioni internazionali a livello regionale, impegno per un ordine globale basato sullo stato di diritto e il diritto internazionale. I concetti più innovativi nelle quaranta pagine di testo della Strategia sono l’idea della “autonomia strategica”, il ricorso al concetto di resilienza e il “l’idealismo pragmatico”.
Il primo di questi tre punti significa un riconoscimento molto più evidente che in passato della necessità di rafforzare le capacità dell’Unine nel campo di Sicurezza e Difesa, senza pregiudizio alcuno verso la Nato, il che segnala una presa di coscienza più assertiva del ruolo dell’Ue come attore responsabile della propria sicurezza. Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue e con essa tra il 20 e il 25 per cento della capacità militare europea, il tema della collaborazione militare e nel settore industriale di Difesa assume una nuova importanza. Tanto è che i leader europei sembrano convergere nell’idea di rilanciare l’Unione anche attorno al tema della Sicurezza e Difes.
La resilienza (“resilience”) è un concetto un po’ elastico, a cui farà seguito una comunicazione in primavera 2017, che significa la capacità di reazione a situazioni di crisi. Nonostante la sua indefinitezza, serve però allo scopo di comprendere in un concetto unico sia dinamiche interne alle società civili, sia i rapporti più tradizionali tra gli Stati, e di cogliere una evoluzione delle relazioni internazionali, che non sono più fatte solo da rapporti tra governi, ma riconosce l’esistenza e l’influenza di protagonisti non governativi. Nella prassi della politica estera significa che le azioni non devono essere rivolte esclusivamente ai governi ma anche alle società, e che sostenere Stati forti non garantisce necessariamente la stabilità e che il rapporto tra politiche interne e internazionali è sempre più stretto. Il tema dei valori della politica estera europea è sempre stato molto dibattuto, visto anche che quei valori (come diritti umani, pace) sono costituzionalizzati nel Trattato di Lisbona.
Storicamente l’Unione ha parlato molto di valori ma non ha fatto altrettanto nella pratica. I motivi sono tanti, e tra questi il fatto che non è sempre facile far sposare valori e interessi. Il compromesso trovato nella Strategia è nell’”idealismo pragmatico”, che da un lato ribadisce l’attaccamento ai valori e dall’altro si riserva una certa flessibilità nel valutare strategicamente il come e quando perseguirli. Come dice spesso Mogherini valori e interessi non sono due cose separate, ma è nell’interesse dell’Unione perseguire i propri valori. Nei prossimi mesi si dovrà capire se gli Stati permetteranno a questa visione di diventare realtà politica.