di Maurizio Sgroi
L’introduzione del bail-in nelle regole europee ha sortito un effetto chissà quanto previsto dai suoi fantasiosi inventori. Ha creato, accanto ai normali strumenti di debito, una sorta di debito “minato”, pronto a esplodere non appena si verifichi il click di una qualche disgrazia nella banca che l’ha emesso. Il caso di MPS, che sta tormentando i sonni di molte famiglie italiane, è l’esempio più vicino a noi di come funzioni e gli effetti che provochi questo debito a orologeria. Ma non è certo l’unico. Al contrario, la tematica è talmente sensibile che la BCE ha ritenuto opportuno farne oggetto di un approfondimento nella sua ultima financial stability review.
E non è difficile capire perché. «Sotto il nuovo regime di bail-in eventuali svalutazioni e/conversioni in equity devono essere distribuite fra gli azionisti e i creditori secondo una gerarchia predefinita evitando effetti di contagio sul sistema finanziario più ampio». Il problema è che sovente le buone intenzioni conducono all’inferno. «Se una banca si trovasse in difficoltà – sottolinea – un’alta concentrazione del suo debito soggetto a bail-in nel settore finanziario in può condurre a preoccupazioni di contagio. D’altra parte, se il debito soggetto a bail-in è in gran parte posseduto dal settore delle famiglie, l’uso di questo tool in un processo di risoluzione bancaria può avere effetti negativi sull’economia, sia provocando effetti sulla spesa che su potenziali tensioni politiche».
Traduco: se una grossa banca ha distribuito debito minato per tutto il settore finanziario, qualora la stessa banca entrasse in sofferenza gli effetti dell’esplosione di questa mina sarebbero globali. Se invece il debito minato è in mano al settore delle famiglie, allora il conto lo paga il paese dove si verifica l’esplosione. E il caso MPS è qui a ricordarcelo.
Questa premessa ci consente di apprezzare due grafici che la BCE ha costruito per osservare la distribuzione di questo debito potenzialmente soggetto a bail-in per settori e per collocazione geografica, che bisogna leggere insieme per avere la visione completa.
Il primo grafico è relativo alla distribuzione settoriale.
Debito potenzialmente soggetto a bail in per settore istituzionale
Il primo istogramma, che sfiora un valore di debito a potenziale bail in (chiamiamolo PB) di 500 miliardi è relativo alle banche. È interessante osservare che mentre il debito PB delle banche francesi è stato comprato in gran parte da assicurazioni e fondi pensioni (ICPFs), il debito PB in pancia ad altre banche è per la maggior parte emesso dalle banche tedesche e italiane. Altrettanto interessante è osservare che «una larga parte del debito PB emesso dalle banche italiane è detenuto dalle famiglie (HHs)». Una evidente conseguenza del lungo romanzo popolare che ha legato le obbligazioni bancarie alle famiglie. Infine, la BCE sottolinea che i fondi monetari (MMFs) sono quelli che, in relazione ai loro bilancio, hanno una maggiore esposizione (l’8,6%) al debito minato.
Il secondo grafico ci dice quanto questo potenziale contagio possa essere esteso.
Debito potenzialmente soggetto a bail in diviso per residenza
«Gran parte del debito dei due paesi che ne hanno emesso di più, ossia Francia e Germania, è detenuto sia a livello domestico che fuori dall’eurozona. L’ampia quota di debito PB nella zona fuori dall’euro può indicare che un’operazione di bail-in in una banca dell’eurozona può anche avere effetti non trascurabili nel resto del mondo». Per convincersene basta notare che il debito minato emesso dalle banche tedesche – si parla di oltre 700 miliardi totali – è detenuto in gran parte fuori dall’eurozona e solo per il 33% in Germania. Al contrario l’80% del debito minato emesso dalle banche italiane è in mano agli italiani. Ciò spiega bene perché MPS sia un problema nostro, mentre Deutsche Bank è un problema di tutti.
In conclusione vale la pena sottolineare che negli ultimi due anni «le famiglie hanno diminuito i loro investimenti in debito bancario ma, a differenza di quanto hanno fatto le banche, hanno aumentato la loro quota di debito subordinato». Altrettanto hanno fatto gli intermediari finanziari non bancari. Le banche se ne sono guardate bene.
Pubblicato sul blog dell’autore il 5 dicembre 2016.