Bruxelles – Cento imprese dell’agroindustria in nove distretti territoriali europei sono finite sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione europea che ne sta monitorando il loro impatto ambientale. In Italia sono state scelte le regioni Puglia e Lombardia per applicare la metodologia “Product Environmental Footprint”, elaborata dalla Commissione europe, che permette di scoprire quali sono le conseguenze in termini di cambiamento climatico o impoverimento delle risorse idriche che derivano dalla produzione di un alimento. Il metodo prende in considerazione gli impatti di un prodotto durante tutto il suo ciclo di vita, a partire dalla coltivazione delle materie prime, passando per la lavorazione, il trasporto e l’uso, fino ad arrivare allo smaltimento e al riciclaggio.
Il progetto, da cui nasce il nuovo sistema di monitoraggio ambientale, si chiama Pefmed, è coordinato dall’Enea, l’agenzia nazionale per l’efficienza energetica, per la parte scientifica e cofinanziato con circa 2 milioni di euro dalla Commissione europea. Ad esso partecipano anche il Ministero dell’Ambiente e sette partner provenienti da Spagna, Francia, Slovenia, Portogallo e Grecia.
A Federalimentare, invece, è affidato il coordinamento delle iniziative delle sei maggiori federazioni internazionali del settore agroindustria, con particolare riferimento alle attività di trasferimento tecnologico alle aziende, di sperimentazione sul campo per ridurre l’impronta ecologica della filiera agroalimentare e di comunicazione.
“Con questo progetto contribuiremo a rendere il mercato dell’agroindustria europeo più green, innovativo e trasparente grazie a una certificazione ambientale unica, che punta da una parte ad agevolare la commercializzazione di prodotti verdi in Europa e dall’altra ad aumentare la fiducia dei consumatori nelle dichiarazioni ambientali che li accompagnano”, ha commentato Caterina Rinaldi, ricercatrice Enea e coordinatrice del progetto.
Gli obiettivi del progetto li ha spiegati il Presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia: “valorizzazione delle materie prime, riduzione dei consumi d’acqua (anche fino al 70% dagli anni ‘90 a oggi su una media europea del 40%), diminuzione dell’impatto energetico (-30% dei consumi in 20 anni), ottimizzazione del packaging, lotta agli sprechi”.