Roma – La legge di Bilancio è passata senza modifiche al Senato, che con 173 voti a favore e 108 contrari ha votato l’ultima fiducia al governo di Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, infatti, alle 19,00 si è recato al Quirinale per confermare le dimissioni, annunciate dopo la bocciatura del referendum costituzionale, e congelate lunedì su richiesta del capo dello Stato Sergio Mattarella, il quale si è riservato di decidere se accettarle alla fine delle consultazioni con il Parlamento.
Per studiare la soluzione alla crisi di governo, dalle 18 di domani Mattarella riceverà al Colle il presidente del Senato, Pietro Grasso, la presidente della Camera, Laura Boldrini, e il presidente emerito Giorgio Napolitano. Dalle 10 di venerdì riprenderà le consultazioni a partire dai gruppi politici minori. Per chiudere con Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico nella serata di sabato 10.
A quel punto l’inquilino del Quirinale deciderà se rinviare Renzi alle Camere o affidare l’incarico a qualcuno per formare un nuovo esecutivo. Le ipotesi sono tutte aperte, e contribuisce all’incertezza anche il fatto che la direzione nazionale del Pd, da resa dei conti tra il segretario e le minoranze si è trasformata in una relazione in attesa di repliche.
Prima di procedere al dibattito interno, “il Pd darà una mano al presidente Mattarella” per risolvere la crisi di governo, ha indicato il segretario. Ha prospettato al partito una doppia via d’uscita dalla crisi. La prima è un governo di responsabilità nazionale, nel quale “il Pd si assume le proprie responsabilità, ma non può essere il solo”. Non ci sta, Renzi, a fare il bersaglio unico di tutte le forze di opposizione. L’unico partito che potrebbe appoggiare un governo di responsabilità è Forza Italia, ma solo per l’interesse di prendere tempo nella speranza che, prima del voto, la Corte europea dei diritti dell’uomo accolga il ricorso di Silvio Berlusconi contro la legge Severino che lo ha estromesso dal Senato. L’alternativa sono elezioni anticipate.
La prima strada sembra fuori discussione, ma non del tutto. Stamane, a Montecitorio, il capogruppo forzista Renato Brunetta la escludeva con decisione: “Ora chiedono il nostro aiuto? Perché mai dovremmo aiutarli visto che hanno fatto carne di porco del Parlamento?”. Tuttavia, aggiungeva lasciando uno spiraglio, “saremo responsabili”.
Perché questa responsabilità si traduca in sostegno sulle politiche europee del prossimo esecutivo, Brunetta elencava i temi sui quali “dovrebbero assumere le nostre posizioni”, e cioè dire “basta con l’egemonia franco tedesca, basta con l’atteggiamento europeo sull’immigrazione, basta alle sanzioni contro la Federazione russa”.
L’ipotesi di un governo con Forza Italia, comunque, rimane esclusa da Brunetta. Infatti, sull’eventuale manovra aggiuntiva che l’Ue potrebbe chiedere a marzo, come lasciano intendere le conclusioni dell’Eurogruppo di lunedì scorso, “bisogna che se la grattino quelli del Pd perché è il portato della follia di Padoan e Renzi”, sottolineava l’esponente di Fi.
Per la seconda strada che l’inquilino uscente di Palazzo Chigi ipotizza, il voto anticipato, si dovrà aspettare “dopo il pronunciamento della Consulta” sulla legge elettorale, e saranno gli altri partiti a dover “dire chiaramente” che rifiutano l’ipotesi di un governo di responsabilità.
Su questa ipotesi di scioglimento anticipato del Parlamento pesano le resistenze del presidente Mattarella, che non vuole mandare il Paese al voto con un sistema elettorale caotico come quello attuale. Per accelerare rispetto alla scadenza del 24 gennaio, sarebbe necessaria una nuova legge che mandi in soffitta l’Italicum e armonizzi i sistemi per l’elezione di deputati e senatori prima del pronunciamento della Consulta.
Al momento però non sembra esserci un’intesa in grado di portare all’approvazione di una legge elettorale alla ripresa dei lavori dopo la pausa natalizia. Sebbene oggi, dallo stesso Pd, il deputato Michele Nicoletti abbia presentato un disegno di legge per reintrodurre il ‘mattarellum’. Segno che non si sta perdendo tempo per intavolare una discussione, ma da qui a trovare un’intesa in tempi rapidi ce ne passa.
Entrambi gli sbocchi, dunque, presentano degli ostacoli. Allora si fa largo una ulteriore ipotesi, circolata nei corridoi dei Palazzi nel pomeriggio: che si provi la via di un governo di unità nazionale e, in seguito al fallimento del tentativo, sia di nuovo Renzi a ricevere un secondo mandato. A quel punto il presidente del Consiglio, che conterebbe sulla stessa maggioranza attuale, lavorerebbe a una nuova legge elettorale ma, nel contempo, dovrebbe adottare un’azione politica più incisiva per recuperare il consenso che gli è mancato al referendum, il tutto sotto l’attacco continuo delle opposizioni che punteranno invece a rosolarlo a fuoco lento.
Se un Renzi bis dovesse nascere da questa crisi, c’è da aspettarsi che il premier riorienti le proprie priorità dando una maggiore attenzione al sociale, per recuperare voti tra le classi più svantaggiate tenendo buona la sinistra del Pd. Poi tenterebbe ancora di togliere consenso alla Lega e al M5s sui temi europei. Il voto referendario ha mostrato che in pochi hanno creduto alla dialettica conflittuale che Renzi ha tenuto con le istituzioni dell’Ue in campagna elettorale. Potrebbe dunque decidere che sia necessario dare prove più concrete. Ad esempio attuando la minaccia di veto sul prossimo bilancio pluriennale dell’Ue, o rifiutandosi di soddisfare le richieste di manovre correttive che dovessero arrivare a marzo da Bruxelles. Un secondo esecutivo Renzi, quindi, potrebbe non piacere così tanto all’Ue.