Bruxelles – Per fortuna in Lussemburgo non sono superstiziosi, sennò direbbero che è lui che ‘porta male’. Ma con un’ottica ‘mediterranea’ alla cosa si direbbe che è matematico: ogni volta che Jean-Claude Juncker interviene nella politica interna di un Paese, il suo ‘endorsement’ porta inevitabilmente al risultato contrario. Il presidente della Commissione tra i suoi compiti ha anche l’ingrato lavoro di sostenere le ragioni dell’Unione europea (ora sempre più contestate da tanti cittadini) e non dovrebbe intervenire nelle questioni di politica interna di un Paese, ma a Juncker questa regola non è mai piaciuta, e sin dalla sua elezione ha continuato a entrare nelle battaglie elettorali, politiche o referendarie, di diversi Stati membri. La prima volta l’anno scorso, quando Alexis Tsipras chiamò i greci a esprimersi sul primo accordo con i creditori. Il presidente dell’esecutivo comunitario addirittura si rivolse direttamente ai greci affermando: “Vi invito a dire sì, indipendentemente dal quesito che il governo vi sottoporrà, vorrà dire che volete rimanere con gli altri Stati membri nella zona euro e nell’Ue”. Il no superò il 60 per cento dando un sonoro ceffone all’Europa dell’austerità.
La battaglia referendaria si spostò poi in Gran Bretagna, dove David Cameron aveva deciso di chiedere ai sudditi di Sua Maestà se volessero o meno restare membri dell’Unione europea. “Spero che i britannici si facciano guidare dal loro proverbiale buon senso. Spero che il risultato del referendum non premi la Brexit. Se dovesse finire così sarebbe un male per tutti”. Il “buon senso proverbiale” non li ha guidati e l’ipotesi del divorzio con Bruxelles ha vinto con il 51,9%, scatenando un terremoto nell’Unione europea.
È stato poi il turno delle elezioni forse più importanti del pianeta, quelle statunitensi. Durante la campagna elettorale tutti i sondaggi davano Hillary Clinton vincitrice sul tycoon Donald Trump. Anche questa volta Juncker non è riuscito a trattenersi dal dire la sua. Per due volte è intervenuto direttamente nella competizione statunitense, anche se stavolta in maniera meno diretta, ma non certo meno chiara. “Trump? Ho una preferenza preferenza per un’altra candidata”, disse la prima volta a luglio, per poi insistere il mese scorso a pochi giorni dalle elezioni: “Ho una preferenza di genere”. Sappiamo tutti com’è andata a finite: Trump sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America.
Naturalmente Juncker non è riuscito a resistere dal dire la sua nemmeno sul referendum italiano. Inizialmente era riuscito a stare zitto per mesi, ma alla fine non ce l’ha fatta a non dire, per l’ennesima volta, la sua sua. “Non voglio interferire in questo dibattito. Ma che l’Italia debba continuare un processo di riforme è una cosa ovvia. E che Renzi aggredisca i problemi dell’architettura istituzionale mi sembra una cosa buona”, ha affermato in un’intervista a La Stampa. Detto fatto, il no ha fatto il mega botto ed ha vinto con quasi il 60% delle preferenze.
In un’Europa che ormai in preda all’instabilità tra qualche mese ad andare alle urne saranno i tedeschi, con Angela Merkel che ha annunciato di voler correre per un quarto mandato. Che Juncker faccia il tifo per lei non è un segreto, e forse quindi Merkel farebbe meglio a prepararsi a qualche rito apotropaico. Lei non sarà sicuramente una persona scaramantica, ma tentare non costa nulla, fedeli al principio tanto caro a Eduardo De Filippo: “Non è vero, ma ci credo”.