di Maurizio Sgroi
Osservo curioso il rafforzarsi del dollaro che ormai molti giudicano vicino al momento della parità con l’euro, e mi torna in mente uno speech recente di Hyun Song Shin, capo della ricerca della BIS di Basilea, che vede proprio nel dollaro e nel ruolo che svolge nel sistema finanziario internazionale una delle singolarità più intriganti della nostra contemporaneità. Attenzione, non si parla di ciò che è notorio, ossia la circostanza che il dollaro sia di fatto se non di diritto la valuta globale. Ma del fatto che le mutazioni intervenute dopo la crisi del 2008 nella filigrana del sistema finanziario hanno finito con l’assegnare al dollaro il ruolo prima interpretato da altri indicatori, ormai poco significativi. In pratica il biglietto verde è diventato l’indice della paura globale. E in tal senso il suo rafforzarsi non dovrebbe essere considerato come un semplice movimento del mercato valutario, ma come il sorgere di un sentimento profondo che richiederà di essere corrisposto, in un modo o nell’altro.
La questione va presa alla lontana per risultare comprensibile. E bisogna partire da alcuni concetti che si sentono ripetere ogni giorno e tuttavia vengono spesso fraintesi, a cominciare dal concetto di leverage, che potremmo tradurre come livello di indebitamento. Un esempio aiuterà a comprendere. Immaginate una banca che attiva un repo (repurchase agreement), ossia un accordo per prendere in prestito una somma di denaro utilizzando un’obbligazione come collaterale di garanzia. In pratica il debitore che prende a prestito vende un’obbligazione oggi al prestatore promettendo di ricomprarla in futuro a un prezzo determinato. La differenza fra il prezzo di vendita di oggi e il prezzo di acquisto di domani viene definito “haircut”. Se l’haircut è del 2% vuol dire che la banca che effettua il repo incasserà 98 dollari oggi per un’obbligazione che vale 100. Ciò implica che alla banca saranno sufficienti due dollari di capitale proprio per garantirsi un prestito di 98 dollari su un’obbligazione che vale 100: alla banca basta avere due dollari per raggiungere la cifra di 100 alla scadenza del repo. Per dirla ancora in un altro modo, con un haircut del 2% la banca può avere un indice di leverage di 50. Significa che con due dollari può indebitarsi per 100. Solitamente il livello di leverage si calcola dividendo il totale degli asset per il proprio capitale. Nel nostro esempio, come abbiamo visto, un asset 100 diviso 2 di capitale da un indice 50.
Questa premessa serve a inquadrare bene il seguente grafico, a cominciare da quello di sinistra che misura il livello di leverage dei broker dealer Usa dal ’96 al 2016.
Questi ultimi, spiega il nostro relatore, sono un buon punto di osservazione per dedurre lo stato di tensione del leverage del sistema bancario. Come si vede, il leverage di queste entità USA è crollato a livelli mai osservati dalla metà degli anni ’90, a livello 18, dopo aver toccato un picco vicino a 50 prima della crisi del 2008. Risulta evidente che quando le entità finanziarie, favorite da bassi tassi di interesse, hanno un livello elevato di leverage, anche un piccolo shock può costringerle a vendite forzate di asset. Se ad esempio l’haircut salisse dal 2 al 4%, che significa un livello di leverage da 50 a 25, «l’impatto sul sistema finanziario sarebbe immenso»: significherebbe tagliare gli asset in circolazione della metà. Si comprende bene perché gli analisti guardino sempre al livello di leverage di un’entità finanziaria per saggiarne la rischiosità.
Non solo. Uno degli indicatori più usati per valutare insieme con l’indice di leverage la stabilità dei mercati finanziari, è l’indice VIX, considerato come il barometro dell’appetito per il leverage negli anni, almeno negli anni precedenti la crisi del 2008. Il VIX misura la volatilità implicita del prezzo delle opzioni sui mercati azionari ed è stato soprannominato l’indice della paura dagli osservatori di cose finanziarie perché c’è sempre stata una relazione molto stretta fra l’andamento del VIX e quello del leverage. E questo ci porta al grafico centrale accanto a quello del leverage. Prima del 2008 quando il VIX era basso il leverage era alto, quando il VIX si impennava il leverage crollava. In pratica quando scattava la paura le banche correvano a far pulizia dei propri asset vendendoli per recuperare risorse e così diminuendo l’indebitamento.
«Tuttavia – spiega – qualcosa è cambiato nei mesi recenti e il VIX non funziona più da un pezzo come il barometro dell’appetito per il leverage». Il grafico lo mostra con chiarezza: l’indice di leverage diminuisce eppure il VIX è al livello degli anni pre crisi. Anche questo ha contribuito al disorientamento degli osservatori. «C’è una sorta di enigma nel cuore dei mercati finanziari – spiega ancora – da una parte ci sono segnali di un appetito senza sosta di rischio sui mercati finanziari, dall’altro il settore bancario sta affrontando tempi difficili». Le azioni salgono, salvo quelle delle banche, specie per le economia fuori dagli USA. Perché mai?
«Una delle spiegazioni può essere l’allentamento monetario che ha effetti calmanti sui mercati». In pratica le banche centrali anestetizzano i malanni finanziari senza guarirli. Ma non può essere solo questo. Anche un altro fenomeno osservato di recente, ossia il fallimento della covered interest parity (CIP) concorre all’ipotesi che qualcosa di più profondo stia accadendo nei bassifondi della finanza. «Ogni risposta semplice potrebbe trarre in inganno – sottolinea – ma c’è un sorprendente candidato come barometro dell’appetito per il leverage: il dollaro». Il dollaro, aggiunge, ha soppiantato il VIX come variabile associata all’appetito per il rischio: «Quando il dollaro è forte l’appetito per il rischio è debole e le anomalie di mercato diventano più pronunciate».
Ed eccolo qua il cuore del problema: il dollaro si sta rafforzando e si prevede si rafforzerà sempre più. Le anomalie, di conseguenza, si estenderanno. È il caso di tenersi pronti.
Pubblicato sul blog dell’autore il 28 novembre 2016.