Se c’è una priorità, tra quelle elencate all’inizio del suo mandato, che Jean-Claude Juncker difficilmente potrà portare a termine quella è il Ttip, il trattato commerciale tra Unione europea e Stati Uniti. Le trattative tra le due sponde dell’Atlantico andavano già a rilento, vista la difficoltà di mettere d’accordo Bruxelles e Washington su un trattato che avrebbe aperto le rispettive economie portando vantaggi e rischi. Ma l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca sembra aver messo definitivamente la parola “fine” a delle discussioni cominciate tre anni fa e che inizialmente qualcuno credeva sarebbero potute terminare sotto la presidenza di Barack Obama. Trump ha già annunciato di voler far saltare il Tpp, l’accordo commerciale concluso (ma non ratificato) con Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam, definendolo “un potenziale disastro per la nostra nazione”. E il Ttip non sembra sia destinato a un destino migliore. Per ora la Commissione europea ha comunicato che i negoziati saranno messi in pausa, anche se a Bruxelles c’è ancora la speranza che non debbano essere messi in soffitta definitivamente.
Il mandato per negoziare il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti, fu dato alla Commissione dal Consiglio nel giugno del 2013, da allora con un ritmo di circa 4 ogni anno, sono stati portati a termine 15 round negoziali. Un accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti creerebbe una zona di libero scambio mastodontica se si pensa che le due economie insieme rappresentano circa la metà del prodotto interno lordo mondiale, un quarto delle importazioni e un quarto delle esportazioni a livello mondiale. Nel 2014 l’Europa ha esportato circa 314 miliardi di euro in beni e 194 in servizi dagli Usa e importato 196 miliardi di beni e 188 miliardi in servizi. Gli Usa son il principale investitore straniero nell’Ue con 1.811 miliardi nel 2014, e l’Ue a sua volta, con i suoi 1.985 miliardi, è il primo investitore oltreoceano.
Secondo i calcoli di Bruxelles nel 2015 le esportazioni verso paesi terzi hanno sostenuto oltre 31 milioni di posti di lavoro nell’Ue e circa 5 milioni di posti di lavoro negli Stati membri sono sostenuti proprio da quelle verso States. Gli Usa inoltre assorbono il 13 % delle esportazioni agricole dell’Ue, soprattutto per quanto riguarda i prodotti a forte valore aggiunto.
Con il Ttip gli obiettivi dell’Unione europea sono la riduzione delle tariffe doganali in tutti i settori, l’eliminazione degli ostacoli non tariffari agli scambi, e l’elaborazione di norme che rendano più agevole importare, esportare e investire. In realtà oltre la metà del commercio Ue-Usa non è soggetto a dazi doganali, ma quelli esistenti variano notevolmente se si pensa che quelli su beni di prima necessità vanno dall’1 al 3%, mentre si sale al 30% per le merci come vestiti e scarpe. Alcuni dazi però sono altissimi, come ad esempio quelli imposti da Washington sulle importazioni di tabacco grezzo che arrivano addirittura al 350%. L’eliminazione dei dazi porterebbe sicuramente benefici per le esportazioni, ma ci sono anche rischi collegati all’aumento delle importazioni per le nostre imprese, che pure dovrebbero sottostare in patria alla concorrenza dell’ingresso nel mercato di una maggiore quantità di prodotti americani.
Al di là di queste considerazioni economiche in generale comunque il Ttip è stato accolto con grande diffidenza nella società civile europea, soprattutto in Paesi come la Germania dove l’opinione pubblica è molto attenta anche a questioni economiche internazionali, ma anche in Italia, dove il trattato è sicuramente meno conosciuto ma dove ci sono state da subito forti sacche di opposizione. A spaventare è la paura che un trattato del genere possa aprire i nostri mercati ad esempio ai prodotti geneticamente modificati o a carni con ormoni, su cui le regole statunitensi sono molto più liberali. Si teme poi un abbassamento degli standard del lavoro e ambientali, in conseguenza del fatto che c’è totale disparità di normative tra Europa e Usa su questi temi. Per provare a dissipare le preoccupazioni fin dalla sua nomina la commissaria al Commercio Cecilia Malmström ha partecipato a decine e decine di incontri con i cittadini e l’esecutivo comunitario si è impegnato a rendere pubblici tutti i documenti negoziali, o almeno quelli europei perché quelli statunitensi restano coperti dal più assoluto segreto e possono essere visionati solo da deputati e con il divieto assoluto di diffusione. Tutto ciò non è bastato però a rassicurare le Ong e parte della società civile. Ma anche tra i governi la difesa del trattato, ad eccezione di Stati come l’Italia, non è stata mai molto forte, e anzi in Germani sul tema c’è stata sempre una divisione profonda nella Grande Coalizione tra Angela Merkel Favorevole e il suo vice Sigmar Gabriel contrario e in Francia addirittura un’aperta opposizione. Come sta dimostrando anche il Ceta, il fratello minore del Ttip concordato con il Canada e non ancora ratificato, l’approvazione di un trattato del genere, che dovrebbe passare al vaglio di tutti i Parlamenti nazionali, è già di per sé un’impresa non da poco, se la controparte statunitense si mette anche fare opposizione l’impresa diventa davvero impossibile. Juncker forse, suo malgrado, dovrà cancellarlo dalla sua to-do list.