Bruxelles – Essere figli di genitori detenuti non può essere una colpa, né una pena da scontare. Lo hanno ricordato alcuni europarlamentari italiani del Partito democratico e l’associazione italiana “Bambini senza barriere” che hanno presentato al parlamento europeo un appello: applicare in tema di protezione dei figli di genitori detenuti il modello italiano. Attraverso una dichiarazione scritta gli europarlamentari firmatari chiedono alla Commissione europea di fare del protocollo d’intesa sulla tutela dei figli dei detenuti firmato dall’Italia il 21 Marzo 2014 una best practice a livello europeo. “La Commissione è invitata a prendere in considerazione la possibilità di istituire un memorandum d’intesa a livello dell’Ue al fine di garantire la conservazione del rapporto genitoriale e consentire ai genitori di essere presenti nei momenti importanti dell’istruzione dei loro figli, salvaguardando così l’interesse del minore”, si legge nella dichiarazione scritta.
Per poter essere accolta dalla Commissione europea la dichiarazione oltre alle firme di europarlamentari del Pd, come Patrizia Toia, Sergio Cofferati, Caterina Chinnici, Silvia Costa, deve raggiungere 350 firme che ad oggi non ci sono, ne mancano 140, “ma in ogni caso non smetteremo questa battaglia”, ha detto Patrizia Toia.
Il Protocollo, firmato il 21 marzo del 2014 dal Ministero della Giustizia italiana, il Garante dei minori e l’associazione “Bambini senza sbarre”, è composto da 9 articoli “sui bisogni di questo gruppo di bambini che con la carta sono diventati diritti e questo consente ai bambini di non sentirsi più colpevoli”, ha spiegato Lia Sacerdote, presidente dell’associazione firmataria del Protocollo.
Il protocollo prevede la nascita di ludoteche, appositi spazi per bambini detti “spazi gialli” con murales e giochi, colloqui in periodi e momenti in cui i minori non hanno attività scolastiche, incontri in aree verdi, formazione del personale penitenziario che deve aiutare a coltivare e non reprimere l’affettività in carcere.
Nascere dietro le sbarre significa essere colpevole senza aver commesso nessun reato. Colpevole di cosa? Di essere un figlio/a di una madre che vive in carcere. È questa la colpa degli 800 mila bambini che in Europa hanno genitori in carcere o passano le loro giornate dietro le sbarre insieme alle loro madri detenute. Ad oggi in Italia circa 40 bambini scontano la pena insieme alle proprie madri.
“Attualmente 18 detenute vivono con i loro 22 bambini negli Ica (istituti a custodia attenuata) e altre 21 donne con i loro rispettivi figli vivono nelle sezioni nido delle strutture penitenziarie”, ha ricordato Santi Consolo, Capo Dipartimento dell’Autorità penitenziaria italiana. Oggi quindi la metà dei bambini italiani dietro le sbarre vive in strutture semi-detentive come gli Ica, mentre l’altra metà passa le giornate in carcere, un luogo in cui la crescita del minore è fortemente compromessa. Per questo esiste una proposta di modifica dell’articolo 280 del codice di procedura penale che chiede di concedere la custodia cautelare negli Ica anche a madri imputate che non abbiano i requisiti per accedere a questa misura alternativa.
In generale, anche se il bambino vive fuori dalle mura del carcere, gli affetti e le relazioni sono le prime ad essere imprigionate. Il risultato è che “il 30% dei figli di genitori detenuti se non accompagnati adeguatamente è facile che abbiano anche loro l’esperienza del carcere e il 30 % dei detenuti sono stati a loro volta figli di detenuti”, lo ha ricordato la presidente dell’associazione “Bambini senza sbarre” che a sua volta fa parte della rete europea Cope sulla tutela dei bambini che conta al suo interno 21 Paesi membri.
In realtà, le percentuali sono più alte, come ha ricordato il Capo del Dipartimento di giustizia minorile Francesco Cascini: la possibilità che il figlio di un detenuto finisca a sua volta in carcere è di “oltre il al 60%, escludendo i detenuti immigrati”.