Bruxelles – Le spese che gli Stati membri decideranno di fare insieme in materia di difesa, ad esempio per sviluppare droni o acquistare congiuntamente navi o aerei, non saranno conteggiate ai fini del Patto di stabilità. C’è anche questo tra gli incentivi messi a punto dalla Commissione europea per tentare di spingere le spese degli Stati membri nel settore della difesa, tema quanto mai attuale dopo la vittoria negli Stati Uniti di Donald Trump, che si è dichiarato restio a difendere quegli alleati Nato che spendono troppo poco, cioè praticamente tutti. Nel suo piano per sviluppare un “fondo europeo per la Difesa”, la Commissione prevede così una “finestra” per sostenere le spese comuni degli Stati membri in aree prioritarie, in modo da ridurre i costi. Saranno gli Stati a decidere liberamente su cosa investire e gruppi diversi di Paesi (da due a tutti e ventotto) potranno portare avanti differenti progetti. La Commissione stima che in totale i ventisette Stati membri saranno pronti a mettere sul piatto cinque miliardi di euro all’anno. A spingere la voglia di investire insieme dovrebbe essere, oltre alla possibilità di risparmio garantita dalle economie di scala, anche il fatto che le spese per questi investimenti collaborativi in materia di difesa non contribuiranno a fare aumentare deficit e debito degli Stati ai fini del rispetto dei vincoli di bilancio. Il tema è caro all’Italia che sarebbe favorevole anche a misure più radicali, come lo scorporo di tutte le spese in materia di difesa, ma più volte, per bocca del ministro Roberta Pinotti, ha il nostro Paese ha chiesto a Bruxelles almeno di sostenere le spese per i progetti comuni. L’idea era già contenuta anche nella proposta avanzata dall’Italia per una difesa comune, e anche nel piano a quattro che il nostro Paese aveva messo a punto insieme a Francia, Germania e Spagna. In entrambi i documenti si chiedevano “incentivi finanziari” per “progetti cooperativi” a livello europeo nel settore militare Non è questa l’unica leva che la Commissione vuole mettere in campo. Del fondo europeo per la Difesa fa parte anche una “finestra della ricerca” che finanzierà i progetti collaborativi per sviluppare tecnologie innovative nel settore, come elettronica, software di crittografia o robotica. Nel budget europeo per il 2017 a questo scopo sono già previsti 25 milioni, ma si punta ad aumentare questi fondi fino a 90 milioni entro il 2020. Dopo questa data, poi, ci dovrebbe essere il vero scatto: nel quadro finanziario pluriennale post 2020 la Commissione intende proporre un programma di ricerca dedicato alla difesa per un ammontare di 500 milioni l’anno. Per spingere gli investimenti delle imprese la Commissione punta anche ad una modifica dei criteri di assegnazione dei prestiti da parte della Banca europea degli Investimenti in modo da consentire anche il finanziamento di progetti nel settore della difesa, oggi impossibile. Allo stesso modo si vuole aprire a finanziamenti anche da parte del Piano Juncker. Tutti strumenti che dovrebbero tentare colmare, almeno in parte, l’imbarazzante gap in materia di difesa che esiste tra l’Ue e il resto del mondo: nel 2015 gli Usa hanno speso più del doppio di quanto hanno speso nel complesso tutti gli Stati europei, mentre la Cina ha aumentato del 150% le proprie spese negli ultimi dieci anni. Ritmi ben diversi da quelli dell’Europa, ostacolata soprattutto da una mancanza di cooperazione che costa, si stima, tra i 25 e i 100 miliardi di euro l’anno a causa della mancata cooperazione e delle inesistenti economie di scala. Circa l’80% delle commesse militari sono effettuate da ogni singolo Stato su base nazionale con una duplicazione dei costi.
Eunews è una testata giornalistica registrata - Registro Stampa del Tribunale di Torino n° 27