Bruxelles – “Quello che sta succedendo in Turchia è molto simile a quello che è successo in Germania con Hitler e in Russia con Stalin negli anni trenta”. Da un giudizio amaro del proprio Paese il giornalista ed editorialista turco Yavuz Baydar partecipando ieri al quindicesimo anniversario dell’International Press Center al Residence Palace di Bruxelles. All’incontro sulla libertà d’espressione, moderato dal corrispondente di Askanews Lorenzo Consoli, hanno partecipato due giornalisti di due Paesi, la Turchia e l’Ungheria, che in questo momento vedono in pericolo i valori della stampa libera.
In Turchia gli arresti e i licenziamenti di accademici, politici, insegnanti e giornalisti secondo Baydar sono la dimostrazione che, anche se con metodi e in contesti diversi, la storia delle dittature europee del Novecento si sta ripetendo. Ad essere colpiti dalla repressione di Erdogan sono anche i media che per Baydar sono diventati “un laboratorio in cui si vedono i tristi segni di quello che accadrà in futuro”. Erdogan avrebbe preso il pieno controllo dei media e delle tv e al momento, ha denunciato l’editorialista, “circa 150 giornalisti sono in carcere, 6 mila colleghi sono stati licenziati e 180 media privati sono stati completamente chiusi”. Non solo, l’interruzione della produzione di notizie non riguarda solo il futuro, ma anche il passato. In molte redazioni “interi archivi privati digitali sono stati distrutti e tutte le storie sono andate perdute”.
Le notizie che girano nel Paese attualmente deriverebbero da fonti non vere e neppure libere, perché c’è una situazione tale per cui “non esiste un singolo canale televisivo critico e indipendente”, ha denunciato Baydar. Lo dimostrerebbe come è stata riportata dai media turchi la recente notizia dell’arresto lo scorso 4 novembre di 9 deputati del partito di opposizione Hdp. In quell’occasione, ha raccontato il giornalista, “le tv hanno invitato a discutere dell’accaduto membri degli altri partiti, ma nessun rappresentante del partito che era stato vittima degli arresti”.
Quello che c’è attualmente in Turchia è “il completo black out delle notizie” e Erdogan per Baydar “ha totalmente sterminato la nostra professione”. Per questo, ha aggiunto, “non esiste più nessuna ragione che giustifichi una discussione sull’adesione all’Unione europea”.
La Turchia è un vicino di casa particolarmente rumoroso per l’Unione, eppure non fa ancora ancora parte della famiglia europea, invece l’altro Paese in pericolo in termini di libertà di stampa, l’Ungheria è uno dei ventotto Stati membri. Eppure nel Paese di Viktor Orban sono accaduti episodi molto simili, a partire dalla chiusura del giornale Népszabadság lo scorso 8 ottobre, le cui pubblicazioni sono state immediatamente sospese, mentre giornalisti e collaboratori sono stati licenziati.
La corrispondente ungherese per il quotidiano d’opposizione al governo Orban, Katalin Halmai, ha raccontato le ore drammatiche della chiusura del quotidiano e la fine di una voce libera, denunciando che “il 90% dei fondi per la pubblicità in Ungheria è destinato ai giornali che sono filo-governativi”.
Lo conferma anche l’organizzazione internazionale Reporter sans Frontiere, che mette l’Ungheria al 67esimo posto nella classifica mondiale, quando nell’ultimo report scrive che “i giornalisti più fedeli a Orban sono premiati con la concessione di frequenze radiofoniche oppure ottengono pubblicità di Stato”. Il giornalismo oggi in Europa gode di luoghi che valorizzano la libertà d’espressione come l’International Press Center che ha festeggiato i suoi 15 anni, ma resta un essere vulnerabile anche in Europa.
“Un tempo pensavamo che certe cose succedessero solo nelle dittature, invece ora dobbiamo fare i conti con il fatto che le cose in Europa sono cambiate”, ha dichiarato il vice primo ministro del Belgio Alexander De Croo, “e prendono piede i populismi, che, insieme alla radicale trasformazione tecnologica, hanno cambiato notevolmente il modo di fare informazione”.
Nonostante l’informazione cambi e sia ovunque, nonostante le figure del creatore e del fruitore dell’informazione si avvicinino sempre di più, il compito del giornalista resta sempre lo stesso, quello “di raccontare i fatti, mostrarli e commentarli”, come ha ricordato che il primo vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans.