Bruxelles – Nei giorni dell’uragano mediatico post-attentati, qualcuno l’ha chiamata ghetto, qualcun altro “la fabbrica jihadista”. Ma cos’è davvero Molenbeek? Perché è diventata così rilevante nella rete del radicalismo islamico dietro gli attentati di Parigi e Bruxelles? “Si pensa che i fenomeni legati alla sicurezza vengano tutti dalla povertà materiale” e invece “il problema è la povertà concentrata e quella culturale. Vedrai quante case popolari ci sono qui”, sono “un ammontare enorme” e “con loro i peggiori problemi socio-culturali, una pressione demografica esplosiva e tassi di abbandono scolastico altissimi”. Insomma “una bomba a orologeria”. L’analisi è di Annalisa Gadaleta, una che Molenbeek la conosce bene, visto che dal 1994 vive in Belgio e dal 2012 è assessore per l’istruzione pubblica proprio al comune di Molenbeek. A farle raccontare il suo punto di vista, lo scrittore e sociologo, Leonardo Palmisano che dopo un viaggio nella periferia di Bruxelles e una lunga chiacchierata con Gadaleta, ha scritto “Conversazione a Molenbeek”, che domani sera sarà presentato alla Piola Libri di Bruxelles.
Una volta Molenbeek, racconta l’assessore “era chiamata Little Manchester perché intorno al Canale c’erano grandi industrie di produzione della birra, di farina, di sigarette. Ed è per questo che hanno sempre attratto manodopera straniera”. I primi ad arrivare in massa sono stati gli italiani: “ Gli italiani che sono venuti qui arrivarono negli anni sessanta e settanta. Erano la più grande comunità straniera di Molenbeek” ma “poi sono andati via perché il quartiere è cambiato”, racconta Gadaleta. Come? “Nel 1964 sono stati firmati gli accordi tra la Turchia e il Marocco e il Belgio quindi c’è stata una nuova ondata migratoria diversa dalla prima”. Oggi queste rimangono le comunità più rilevanti, e continuano ad ingrossarsi con i ricongiungimenti familiari: “30.096 domande approvate solo nel 2012 nonostante la legge del 2011 abbia ristretto le condizioni per avere accesso al ricongiungimento”, ricorda l’assessore.
A questa ondata migratoria spesso non ha corrisposto uno sforzo di integrazione in Belgio. “Qui puoi andare a fare la spesa parlando in berbero, senza cesura con il tuo passato”, racconta Gadaleta, secondo cui questo” è uno dei problemi nel modo in cui sono strutturate le città” che si trasformano in “ghetti” perché “c’è troppa omogeneità”. Per rispondere a questo problema “abbiamo provato ad attirare la classe media a Molenbeek, perché è fondamentale se non vuoi che le tensioni sociali esplodano ma l’arrivo della classe media non si è tradotto in mixité sociale, nemmeno nelle scuole”, spiega l’assessore. Ad acuire il problema, anche il fatto che “non c’è obbligo di imparare la lingua se sei straniero. A Bruxelles ci sono delle iniziative a cui gli stranieri partecipano solo se lo vogliono”.
Tutto questo ha creato terreno fertile per il reclutamento dei giovani. “Avviene in arabo, berbero o anche in francese. Vengono spinti massicciamente verso certe pagine Facebook o verso certi film e così comincia lavaggio del cervello”, spiega nel libro l’assessore Gadaleta, sottolineando che il processo del reclutamento “è molto veloce: in due mesi, mediamente, vengono avvicinati e poi partono per la Siria (o partono mentalmente). Velocissimi!”. Dall’identificazione dei soggetti legati agli attentati, poi, fa notare l’assessore è stato possibile notare un legame sempre più forte tra criminalità e terrorismo, elemento che in passato non esisteva.