Sviluppi incoraggianti sul fronte dell’integrazione europea nel campo della difesa, ma non ancora, almeno per il futuro prossimo, una svolta decisiva in un dossier dalla forte valenza politica.
Le Conclusioni del Consiglio Affari esteri del 14 novembre scorso giungono quale ennesimo sviluppo di un processo quadriennale di riflessione intra-europea sulla Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), avviato a fine 2012 con la decisione dell’allora Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, di riportare la PSDC nel novero delle priorità politiche dei Capi di Stato e di Governo.
Un tentato rilancio, quello della difesa UE, che ha animato anche la recente ‘Strategia Globale per la Politica Estera e di Sicurezza’, inaugurata dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini lo scorso giugno. Tra i suoi punti salienti, la Strategia ha ribadito la necessità di rafforzare la PSDC, anche nei suoi elementi spiccatamente militari, al fine di meglio sostenere l’azione esterna dell’UE in un contesto internazionale di sicurezza in continuo ed incerto mutamento.
Anche a seguito di importanti contributi di pensiero come il paper franco-tedesco e quello italiano di inizio autunno, un ‘Piano di Implementazione della Strategia Globale nell’ambito sicurezza e difesa’, articolato in tredici proposte di azione, è stato finalizzato in poche settimane dal Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE), in repentino e serrato coordinamento con le diverse capitali nazionali, e presentato ai Ministri degli Esteri e della Difesa per informarne le recenti Conclusioni.
Il negoziato sul testo finale si è rivelato, ancora una volta, un’efficace cartina di tornasole delle divisioni che ancora frappongono gli stati membri sui futuri possibili della PSDC. Divergenze che sembrano riguardare, con gradi diversi, le priorità di sicurezza dell’UE nel suo vicinato meridionale ed orientale, il dibattito tra complementarietà e duplicazione nelle relazioni tra UE e NATO, la gestione dei costi delle operazioni e missioni della PSDC, il rapporto tra PSDC, migrazioni e sicurezza delle frontiere, il sostegno a paesi terzi nel campo della sicurezza, il futuro consolidamento dell’industria europea della difesa, o ancora l’idea di un’Europa ‘a più velocità’ nel campo della difesa quale applicazione della Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO).
Sulla base dell’inevitabile compromesso tra le diverse sensibilità e priorità nazionali in gioco, i Ministri hanno così assunto una serie di decisioni incoraggianti, ma che richiederanno ulteriore approfondimento e perfezionamento nei mesi a venire, in gran parte affidato a proposte tecniche da parte delle istituzioni UE, da ridiscutere a tempo debito in sede politica.
Queste riguardano la revisione delle strutture, delle capacità e dei requisiti delle missioni civili e delle operazioni militari della PSDC, sulla scorta di un nuovo ‘Livello di Ambizione’, la possibile creazione di un sistema di revisione coordinata tra le politiche nazionali di pianificazione e sviluppo di capacità, ed il sostegno all’imminente ‘Piano di Azione per la Difesa Europea’ della Commissione Europea sugli aspetti industriali e tecnologici, ivi inclusa la possibilità di un futuro finanziamento a bilancio UE di ricerca e programmi ad applicazione militare.
Gli stati membri hanno inoltre demandato all’Alto Rappresentante l’elaborazione di opzioni per la costituzione di una struttura permanente di pianificazione e condotta di operazioni militari non esecutive (riflettendo la persistente ostilità di Londra e diverse altre capitali dell’Europa centro-orientale all’idea di un Quartier Generale UE per l’intera gamma delle operazioni militari della PSDC), così come rispetto all’utilizzo, finora assente, dei Battlegroup UE, ed alla concreta implementazione della PESCO tra uno o più gruppi di stati membri. Le Conclusioni hanno anche previsto una revisione omnicomprensiva del meccanismo ‘Athena’ per il finanziamento dei costi comuni delle operazioni militari UE, incoraggiato una pronta esecuzione delle misure di assistenza a paesi terzi, in particolare quelli africani, fornite dalla nuova ‘Capacity building in support of security and development’ (CBSD), e previsto la formulazione di un approccio maggiormente strategico verso i paesi partner delle missioni ed operazioni PSDC.
Nel complesso, le Conclusioni di novembre debbono essere valutate come un passo senz’altro importante nel percorso politicamente delicato e tecnicamentoe complesso di integrazione europea nell’ambito difesa. Recenti sviluppi politici in larga misura interni alla comunità di sicurezza euro-atlantica, dagli impatti di breve e medio termine della Brexit per UE e NATO all’elezione di un Presidente statunitense verosimilmente più isolazionista del suo predecessore, sembrano offrire l’ennesima ‘tempesta perfetta’ per un approfondimento tangibile della cooperazione militare tra i paesi europei. È altrettanto evidente, però, che la debole coesione politica interna all’Unione, le persistenti differenze nelle priorità di politica estera e di sicurezza degli stati membri, ed i limiti posti dai parametri legali, procedurali e finanziari della PSDC, rendono una svolta epocale nella difesa europea uno sviluppo alquanto improbabile nell’immediato futuro.
In ultima analisi, il necessario ed auspicabile rafforzamento della difesa europea dipenderà dalla volontà politica degli stati membri, veri ‘padroni’ della PSDC, e dal ruolo facilitante che questi intenderanno affidare – o meno – ad attori quali il SEAE, la Commissione e l’Agenzia Europea di Difesa (EDA).
In tale quadro, l’Italia può e deve giocare un ruolo-chiave nel favorire un avanzamento pragmatico, ma non per questo privo di ambizione, della PSDC, rafforzando al contempo un coordinamento più stretto ed efficace, sotto il profilo strategico ed operativo, con l’Alleanza Atlantica. A tal fine, sarà fondamentale, per la diplomazia italiana, favorire una visione il più possibile condivisa degli obiettivi di fondo della PSDC, tale da coagulare il necessario consenso delle principali capitali europee, in particolare Berlino e Parigi, e ad orientare l’articolazione degli strumenti militari e civili atti a promuovere interessi e valori europei su scala globale.
Andrea Frontini è Analista presso lo European Policy Centre di Bruxelles (EPC). Il presente articolo rielabora parzialmente un precedente contributo in lingua inglese per l’EPC.