Bruxelles – La Corte di giustizia europea è stata investita di due controversie che, sebbene differenti quanto ai fatti, riguardano, in sostanza, il diritto di accesso ai documenti in materia ambientale.
Nella causa C-673/13 P, le associazioni Stichting Greenpeace Nederland e Pesticide Action Network Europe (PAN Europe) hanno presentato alla Commissione una richiesta di accesso a una serie di documenti riguardanti la prima autorizzazione all’immissione in commercio del glifosato, uno degli erbicidi più usati nel mondo sia in ambito agricolo sia nell’ambito della manutenzione degli spazi urbani e industriali. La Commissione ha autorizzato l’accesso a tali documenti, tranne che per una parte del progetto della relazione di valutazione redatta dalla Germania. La Commissione ha motivato il proprio diniego indicando che il documento di cui trattasi conteneva informazioni riservate sui diritti di proprietà intellettuale dei richiedenti l’autorizzazione del glifosato, ossia, in particolare, sulla composizione chimica dettagliata di tale sostanza, sul suo processo di fabbricazione nonché sulle impurità e sulla composizione dei prodotti finiti.
Le due associazioni si sono rivolte al Tribunale dell’Unione europea con un ricorso volto all’annullamento di tale decisione di diniego emessa dalla Commissione. Con sentenza dell’8 ottobre 2013, il Tribunale ha accolto il ricorso. Secondo il Tribunale, alcune parti del documento controverso[3] contenevano informazioni riguardanti le emissioni nell’ambiente. Di conseguenza, la Commissione avrebbe dovuto concedere alle associazioni l’accesso a dette parti del documento, senza poter invocare la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali. Non soddisfatta di tale sentenza, la Commissione ne chiede l’annullamento alla Corte.
Nella causa C-442/14, la Bijenstichting, associazione olandese per la protezione delle api, ha chiesto all’autorità olandese competente in materia di autorizzazioni all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari e biocidi (College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden, CTB) la divulgazione di 84 documenti riguardanti le autorizzazioni all’immissione in commercio di taluni prodotti fitosanitari e biocidi rilasciate da tale autorità. La società Bayer, titolare di gran parte di dette autorizzazioni, si è opposta alla divulgazione, per il motivo che essa violerebbe il diritto d’autore e la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.
Nel 2013, il CTB ha autorizzato la divulgazione di 35 degli 84 documenti richiesti, in ragione del fatto che essi contenevano informazioni sulle emissioni nell’ambiente, e ciò benché la divulgazione possa violare la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali. Infatti, in forza di una direttiva dell’Unione, la tutela del segreto commerciale e industriale non può essere opposta alla divulgazione di tali informazioni.
Tanto la Bijenstichting quanto la Bayer hanno impugnato la decisione del CTB dinanzi ai giudici olandesi. Questi ultimi hanno quindi proposto alla Corte diverse questioni pregiudiziali volte, in particolare, a determinare se le informazioni richieste dalla Bijenstichting rientrino nella nozione di “informazioni sulle emissioni nell’ambiente” ai sensi della direttiva, con la conseguenza che esse dovrebbero essere divulgate senza che la Bayer possa opporvisi adducendo il pregiudizio alla riservatezza di informazioni commerciali o industriali.
Con due sentenze odierne, la Corte precisa che cosa debba intendersi per “emissioni nell’ambiente” e per “informazioni sulle [o che riguardano] emissioni nell’ambiente” ai sensi del regolamento applicabile nella causa C-673/13 P e della direttiva applicabile nella causa C-442/14.
In queste due sentenze, la Corte dichiara, innanzitutto, che la nozione di “emissioni nell’ambiente” include, in particolare, il rilascio nell’ambiente di prodotti o sostanze, come i prodotti fitosanitari o i biocidi o le sostanze attive contenute in tali prodotti, purché tale rilascio sia effettivo o prevedibile in condizioni normali o realistiche di utilizzo del prodotto o della sostanza.
Così, in particolare, tale nozione non può essere distinta dalle nozioni di “rilasci” e di “scarichi” né essere limitata alle emissioni generate dagli impianti industriali (quali le fabbriche e le centrali), ma copre altresì le emissioni risultanti dalla polverizzazione di un prodotto, come un prodotto fitosanitario o un biocida, nell’aria o dalla sua applicazione sulle piante o sul suolo. Infatti, limitazioni del genere contravverrebbero all’obiettivo, perseguito dal regolamento e dalla direttiva, di garantire la divulgazione più ampia possibile delle informazioni ambientali.
La Corte conferma altresì che il regolamento e la direttiva non ricomprendono unicamente le informazioni attinenti a emissioni effettive, ovvero emissioni concretamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto fitosanitario o biocida sulle piante o sul suolo, ma altresì le informazioni sulle emissioni prevedibili di tale prodotto nell’ambiente. La Corte precisa, per contro, che sono escluse dalla nozione di informazioni relative a emissioni nell’ambiente quelle che si riferiscono a emissioni meramente ipotetiche, come, ad esempio, dati ricavati da studi aventi l’obiettivo di analizzare gli effetti dell’uso di una dose di prodotto ampiamente superiore alla dose massima per la quale è rilasciata l’autorizzazione di immissione in commercio e che sarà usata in pratica.
La Corte precisa, inoltre, che la nozione di “informazioni che riguardano/sulle emissioni nell’ambiente” deve essere interpretata nel senso che essa copre non solo le informazioni sulle emissioni in quanto tali (vale a dire le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo di tali emissioni), ma anche le informazioni che consentono al pubblico di controllare se sia corretta la valutazione delle emissioni effettive o prevedibili, sulla cui base l’autorità competente ha autorizzato il prodotto o la sostanza in questione, nonché i dati relativi agli effetti, a termine più o meno lungo, di tali emissioni sull’ambiente. In particolare, tale nozione comprende le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto in questione e gli studi relativi alla misura della dispersione della sostanza durante tale applicazione, a prescindere dal fatto che tali dati derivino da studi realizzati in tutto o in parte sul campo, da studi di laboratorio o da studi di traslocazione.
Nella causa C-673/13 P, la Corte annulla, tuttavia, la sentenza del Tribunale, nella parte in cui esso ha considerato sufficiente che un’informazione riguardi “in modo sufficientemente diretto” emissioni nell’ambiente per rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento. La Corte ricorda, infatti, che tale regolamento riguarda le informazioni “che riguardano emissioni nell’ambiente”, vale a dire quelle concernenti o relative a siffatte emissioni, e non le informazioni che presentano un nesso qualunque, diretto o indiretto, con le emissioni nell’ambiente. La Corte rinvia quindi la causa al Tribunale affinché quest’ultimo verifichi se le informazioni controverse si riferiscano effettivamente a emissioni nell’ambiente e, se del caso, statuisca sugli argomenti delle parti che non ha esaminato nell’ambito della sua sentenza.