Bruxelles – L’esito del referendum del 4 dicembre sarà un importante indicatore per stabilire l’andamento dei mercati nel prossimo futuro: questa è l’opinione di diversi dei principali osservatori economici internazionali. Ma se per le agenzie finanziarie Usa una vittoria del “no” al referendum non creerà problemi particolarmente gravi, d’altro avviso è il Financial Times: secondo il condirettore Wolfgang Münchau il “5 dicembre l’Europa potrebbe svegliarsi con l’immediata minaccia della disintegrazione”, poiché una sconfitta del governo Renzi porterebbe l’Italia tra i primi Paesi ad abbandonare l’euro e darebbe il via alla vittoria dei populismi in tutta Europa, fomentati dalla Brexit e dalla vittoria alle elezioni presidenziali Usa di Donal Trump. La previsione più concreta “resta non un collasso dell’Ue o dell’euro ma un’uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l’Italia, ma non la Francia”.
Meno catastrofiche le previsioni del Wall Street Journal, che sostiene che “finché c’è crescita c’è speranza” ma prevede ulteriori crolli dell’economia italiana e di conseguenza dell’euro in caso di vittoria del no: “Il referendum si è trasformato in un voto di fiducia sulla capacità del governo Renzi di rilanciare l’economia” e, in caso di sconfitta, la soluzione migliore sarebbe l’istituzione di un governo tecnico piuttosto che la presa di potere di un “partito antiestablishment che punta a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull’euro, destabilizzando tutto il sud Europa”.
Secondo il New York Times, invece, il reale problema dell’economia in Italia non va ricercato nelle riforme, ma piuttosto nella fragilità delle banche costrette a sostenere prestiti senza solide garanzie di restituzione: dalla tesi sostenuta si difende il direttore di Bankitalia, Ignazio Visco, secondo cui la maggior parte dei prestiti sono emessi con garanzie solide e che “le banche sono il sintomo di sette anni di recessione continua, non la causa”.