Berlino – Barack Obama è in visita a Berlino, per la seconda volta in veste di presidente degli Stati Uniti d’America. Si tratta dell’undicesimo viaggio nella capitale tedesca dal 1945 ad oggi di un presidente degli Usa. Questa volta Obama, a differenza del 2008, quando con il suo bellissimo discorso fece emozionare migliaia di cittadini davanti alla Colonna della Vittoria, nulla potrà promettere e nulla potrà pretendere.
Quel 24 luglio 2008, non essendo ancora stato eletto presidente, a Obama non fu concesso di parlare davanti alla Porta di Brandeburgo, che era riservata ai discorsi presidenziali. Ma quel giorno il suo appello all’Europa intera di far crollare tutti muri fece più eco di qualsiasi discorso presidenziale che l’aveva preceduto: ad ascoltarlo 200.000 persone, più di quattro volte il numero di spettatori che nel 1987 avevano assistito al discorso di Reagan. “Questa città, più di tutte le città, conosce il sogno di libertà”, disse l’allora senatore dell’Illinois ai berlinesi. Il quotidiano tedesco Der Tagesspiegel descrisse il discorso di Obama come “il segnale dell’inizio di una nuova era per una nuova generazione su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Proclamandosi un cittadino del mondo, Obama sostenne che era il momento di costruire un nuovo ponte per affrontare le sfide del XXI secolo: “I muri tra vecchi alleati e l’altra parte dell’Atlantico non possono resistere. È necessario abbattere tutti i muri”.
Nel 2008 Obama conquistò Berlino e i suoi abitanti, ma non fu l’unico presidente americano nella storia a lasciare un segno indelebile nelle memorie dei berlinesi. Del resto proprio a Berlino venne pronunciato uno dei discorsi più noti del Ventesimo secolo, il cui ricordo resta tuttora vivo nella memoria di migliaia di cittadini tedeschi: l’“ich bin ein Berliner” di John F. Kennedy, pronunciato il 26 giugno 1963 in Rudolph Wilde Platz davanti all’allora sede del Municipio di una Berlino Ovest che dall’alba del 13 agosto 1961 si era ritrovata divisa dal famigerato muro. Quel discorso di Jfk ha contenuto per un’intera generazione parole di coraggio e fermezza a difesa del concetto di libertà, così com’era sentito e vissuto dalla maggior parte dei cittadini dei paesi d’Europa a quel tempo. Un discorso ancora più importante se si considera la sensazione di costante minaccia provocata dalla “guerra fredda” all’epoca in atto tra i due “blocchi contrapposti”. Al di là del muro una folla di cittadini della Berlino Est cercò di avvicinarsi il più possibile al confine per poter ascoltare le parole di Kennedy: “Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, ed è per questo motivo che da uomo libero sono orgoglioso di dire: Ich bin ein Berliner.”
Un’atmosfera mista di tensione e di speranza venne vissuta dai berlinesi nel 1987, quando il quarantesimo presidente statunitense Ronald Reagan sbarcò in città per l’anniversario dei 750 anni della fondazione di Berlino. Il 12 giugno 1987, davanti alla Porta di Brandeburgo, Reagan proferì: “Tear down this wall!! Tear down this wall !!”, rivolto a Gorbačëv. I consiglieri di Reagan gli avevano sconsigliato di pronunciare frasi che potessero dar luogo a eventuali incidenti diplomatici perché, pur sperando in un miglioramento delle relazioni Usa/Urss, il timore era che Gorbačëv non sarebbe stato in grado di portare avanti cambiamenti drastici in tempi brevi essendo fortemente vincolato dalle rigide regole del Politburo del Cremlino. Probabilmente in Reagan prevalse però allora l’intuito dello statista, in quell’occasione sostenuto anche dalla foga dell’attore: di lì a breve gli eventi gli diedero ragione e così anche lui entrò nella storia.
Una parimenti memorabile presenza a Berlino fu quella del presidente Harry S. Truman, accompagnato dall’allora Segretario di Stato, James Byrnes, nel luglio del 1945. Truman giunse in Europa in nave e fu accolto dal generale Dwight Eisenhower. Quindi si recò in aereo a Berlino, dove si incontrò con Winston Churchill e Josip Stalin, anch’essi accompagnati dai rispettivi ministri degli esteri Eden e Molotov. Truman ebbe modo di visitare Berlino così come si presentava dopo i bombardamenti da poco terminati: la guerra era finita sul fronte occidentale appena l’8 maggio precedente, mentre sul fronte orientale sarebbe terminata a metà agosto, dopo la resa giapponese seguita al lancio da parte dell’esercito statunitense delle bombe atomiche di Nagasaki ed Hiroshima. Compiuto l’incontro con gli altri due statisti “vincitori”, date le misere condizioni in cui versava la città, si decise di continuare i lavori delle trattative post belliche nella vicina Potsdam, precisamente nel Palazzo Cecilienhof, fortunatamente lasciato intatto dalla guerra e scelto come sede confortevole per le lunghe trattative geopolitiche di quella che sarebbe passata alla storia come la “Conferenza di Potsdam” (17 luglio – 2 agosto 1945). Tale Conferenza fu l’ultima di un ciclo di incontri tra i Tre Grandi Alleati (Usa, Gb, Urss) che si tennero durante la Seconda Guerra Mondiale per concordare le operazioni belliche su tutti i fronti: Teheran, Casablanca, Jalta. Truman però, prima di lasciare Berlino per trasferirsi a Potsdam, fece un discorso alla truppe americane presenti in città e parlò “a mani libere”, cioè senza leggere alcun appunto, schietto e solenne al tempo stesso, soprattutto per ringraziare tutti coloro che avevano perduto o rischiato la loro vita per consentire ad altri di vivere nella Libertà.
Il tema della Libertà è probabilmente il fil rouge che connette tra loro i discorsi dei presidenti Usa che si sono finora recati a Berlino. Tuttavia la crisi economica che attanaglia l’Europa potrebbe d’ora in avanti far prevalere le preoccupazioni di tale natura sul tema che invece da sempre era stato il principale ispiratore dei discorsi politici dei grandi statisti.