Bruxelles – Quella che gli altri Paesi europei stanno tentando di imporre all’Italia non è una “solidarietà flessibile” ma piuttosto una “presa in giro rigida”. Arriva a Bruxelles con il coltello tra i denti il ministro dell’Interno italiano, Angelino Alfano, invitato dalla presidenza slovacca insieme ai colleghi europei, ad una cena informale che rischia di rimanergli indigesta. Sul tavolo, uno dei temi a cui l’Italia è più sensibile e cioè la solidarietà in tema di gestione dei flussi migratori. Nel concreto, si parla della riforma del sistema di Dublino, quello che stabilisce quale sia lo Stato membro competente ad analizzare la richiesta di asilo di un migrante. Tocca al Paese di primo arrivo, stabilisce il principio oggi in vigore, che ha però mostrato, sotto la pressione dell’arrivo eccezionale di profughi degli scorsi mesi, tutti i suoi enormi limiti. Per questo sul fatto che sia necessario cambiare, non ci sono più dubbi. Già, ma come?
La Commissione europea, a maggio, ha presentato una proposta certo non perfetta, ma che per lo meno chiariva un principio: tutti i Paesi devono contribuire all’accoglienza di una parte dei migranti che varcano i confini europei, poco importa da quale Stato entrino. Un principio sacrosanto, secondo Italia, Grecia e Malta, ma che rimane assolutamente divisivo tra gli Stati membri. In particolare, quelli del blocco di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che in questi mesi godono di una posizione privilegiata nei negoziati, visto che la Slovacchia detiene la presidenza di turno in Consiglio. E infatti la presidenza non si è lasciata sfuggire l’occasione di provare a cambiare le carte in suo favore, mettendo sul tavolo una proposta di revisione che annulla tutti gli sforzi (comunque insufficienti secondo l’Italia) della Commissione europea e rimette il grosso del fardello sulle spalle dei Paesi di primo arrivo.
“Noi non condividiamo nulla di questa proposta”, protesta Alfano, secondo cui: “Fin quando non si regolarizza la posizione dell’Europa nei nostri confronti, e cioè non si mantiene il patto per ricollocare 50mila migranti dall’Italia verso gli altri Paesi europei, non è credibile in nulla l’Europa”. In questo modo “l’Europa sta facendo davvero una brutta figura”, attacca il ministro, promettendo una strenua opposizione contro la riforma al ribasso proposta da Bratislava: “Continueremo a dire no e sono convinto che altri Paesi diranno no”.
La posizione slovacca è delineata in un cosiddetto “non paper”, una proposta di principio ma che non propone ancora modifiche legislative, che la presidenza ha voluto presentare ai ministri degli Interni convocando una cena informale. Il documento, di cui Eunews ha preso visione, si propone di trovare “un’intesa comune su cosa solidarietà e responsabilità significhino in pratica” e propone il concetto di “solidarietà efficace” che ricalca in tutto l’idea di solidarietà flessibile già avanzata dagli slovacchi. La proposta prevede tre diversi scenari, a seconda della consistenza dei flussi di migranti in arrivo. In “circostanze normali”, secondo la presidenza, “dobbiamo lavorare sulla base del sistema attuale” cioè quello che lascia l’onere dell’accoglienza agli Stati di primo arrivo. Del sistema si dovrebbe comunque “migliorare l’efficienza” soprattutto “riducendo i movimenti secondari”. Cioè: Italia e Grecia oltre che accogliere i migranti dovrebbero anche impegnarsi a non lasciarli andare altrove.
Nel secondo scenario, quello di arrivi elevati, occorre invece aggiungere al sistema “una componente di solidarietà”, ma in salsa slovacca. E cioè: “Tutti gli Stati membri devono prendere parte allo sforzo collettivo”, ma, sottolinea il testo, “in un modo o nell’altro”. In pratica: “Nella maggior parte dei casi, alleviare la pressione sugli Stati membri colpiti richiederebbe il trasferimento di una quota ben definita di richiedenti asilo verso gli altri Stati membri”. Ma “la componente di solidarietà può anche ugualmente prendere altre forme”, specifica la presidenza stilando anche un elenco di proposte. Gli Stati che non vogliono migranti potrebbero cavarsela con “contributi finanziari agli Stati membri sotto pressione o ai Paesi di origine e transito” o con “un aumento di contributi” all’Agenzia europea per l’asilo, oppure ancora aiutando nel trattare le domande di asilo o aiutando gli Stati d’arrivo nei rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale. Nello scenario peggiore, poi, cioè quello in cui l’attuale sistema di Dublino si mostri “completamente disfunzionale”, a decidere, secondo la proposta slovacca, dovrebbero essere di volta in volta i capi di Stato e di governo. A loro in Consiglii europeo starebbe decidere “misure aggiuntive di supporto” ma solo su “base volontaria”.
Un sistema totalmente inaccettabile per l’Italia che da anni contava su questa revisione di Dublino per ricevere un aiuto consistente dagli altri Stati membri sulla gestione dell’immigrazione. Peccato che il fronte guidato dal nostro Paese resti per ora piuttosto sparuto. Con noi ci sono gli Stati di frontiera: sicuramente Grecia e Malta, probabilmente Cipro e forse anche la Spagna. Uno schieramento decisamente minoritario, che punta per il momento a prendere tempo, sperando di scavallare la presidenza slovacca e giungere a gennaio, quando a dirigere i negoziati in Consiglio sarà Malta. A quel punto potrebbe essere più facile ripartire dalla proposta della Commissione e tentare di migliorarla. Proprio il fattore tempo però potrebbe giocarci contro: la Germania, il Paese forte in favore dell’accoglienza, sembra intenzionato più di ogni altra cosa a chiudere il prima possibile. Stessa posizione dell’esecutivo comunitario: “Stiamo finendo il tempo, dobbiamo dare risultati”, ha chiarito il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, entrando alla cena. Insomma, prima è, meglio è. E sul come si possono trovare compromessi.