Bruxelles – Lavorare ed essere poveri: è questa la nuova frontiera del lavoro nel 2016 in cui anche chi ha un’attività che gli permette di avere uno stipendio resta in uno stato di costante precarietà e non sempre riesce a viverci. “Quasi un quarto dei cittadini dell’Unione europea (23,7%), pari a circa 118 milioni di persone, sono oggi a rischio povertà ed esclusione sociale”.
Lo dice l’ultimo rapporto della fondazione Bertelsmann Stiftung “Social Justice Index” che ha esaminato quale giustizia sociale esiste nei 28 Stati membri. Nessuna novità per l’Italia che continua a mettersi nelle ultime posizioni raggiungendo il 24esimo posto sui 28 Stati membri. Un primato quello italiano che è il risultato di numeri allarmanti sul fronte dei 6 fattori presi in considerazione dello studio: povertà, istruzione, mercato del lavoro, sanità, giustizia intergenerazionale, coesione sociale e non discriminazione. L’Italia non è il solo paese dove la canzone simbolo della sua gioventù è diventata “se potessi avere mille euro al mese”. Preceduta da Portogallo e Ungheria, l’Italia nella classifica ha una posizione leggermente migliore tra i 28 Stati solo a Spagna, 25esimo, poi Bulgaria, Romania e all’ultimo posto l’eterna vittima della crisi, la Grecia.
Le opportunità di partecipazione dei cittadini europei, misurate a partire dal 2008 ogni anno da questo indice, non sono tutte uguali. Nascere in Svezia, che occupa la prima posizione della classifica, o in Finlandia , Danimarca e Repubblica Ceca non è come nascere in Italia, che nel 2015 ha registrato anche il tasso più basso di occupazione in Europa.
La Repubblica Ceca, ma anche la Slovenia e l’Estonia, rispettivamente al nono e al tredicesimo posto, dimostrano come “le politiche sociali giochino un ruolo determinante nel migliorare le condizioni di giustizia sociale. Ad esempio la Repubblica Ceca è riuscita a fare eccellenti politiche di contrasto preventivo alla povertà”.
E così dallo studio risulta che sarebbe stato molto meglio nascere non solo nei tradizioni paesi scandinavi, leader nelle politiche di welfare e da sempre in prima posizione in quasi tutte le classifiche europee, ma anche in Repubblica Ceca, al quarto posto della classifica o in Germania, al settimo, Gran Bretagna, Lussemburgo e Polonia che hanno registrato un “modesto miglioramento”. I paesi che in questi anni, anche grazie alla parziale fuoriuscita dalla crisi, hanno migliorato il loro Social Justice Index sono comunque pochi e nonostante la fondazione tedesca registri un “generale e leggero miglioramento rispetto al 2015″, Bertelmans Stiftung nel rapporto scrive che non si può parlare di “inversione di tendenza in termini di giustizia sociale”.
Anche i paesi considerati meno vulnerabili, come quelli scandinavi, hanno visto peggiorare la vita dei loro cittadini, ma la “divisione sociale che divide Nord e Sud Europa è ancora enorme”, si legge nel rapporto, a causa del peso che hanno paesi come Grecia e Spagna dove la percentuale dei giovani senza lavoro è altissima. Oltre al problema della disoccupazione giovanile, fenomeno non nuovo a statistiche e cronache, quello che invece coinvolge tutti i paesi europei, è che diventa sempre più difficile vivere anche se si ha in tasca uno stipendio. Anche quella che è considerata il traino economico dell’Europa, la Germania, registra numeri preoccupanti. Mentre in Europa il numero delle persone che lavorano full-time ma sono a rischio è salito di 0,8 punti percentuali dal 2009 al 2015, nello stesso periodo di tempo nella sola Germania è salito di 2 punti: da 5,1 a 7,1. In Italia solo nel 2015 il 9,8% degli italiani che lavorano full-time erano a rischio povertà. Gli autori dell’indagine ritengono preoccupante l’aumento del gruppo dei cosiddetti “working poor” poiché questa categoria di persone rimane esclusa interamente da una partecipazione alla vita sociale. “Un lavoro a tempo pieno non deve solo assicurare un reddito, ma anche il necessario per vivere. Una quota crescente di persone, che a lungo termine non riescono a vivere del proprio lavoro, mina la legittimità del nostro ordinamento economico e sociale”, afferma Aart De Geus, presidente del consiglio di amministrazione della fondazione Bertelsmann.
E se chi lavora vive male, chi non lavora se la passa ovviamente ancora peggio e i primi a non lavorare sono i giovani in tutta Europa. “Sebbene la disoccupazione in generale sia iniziata a scendere (a livello europeo dal 22,2% del 2014 al 20,4% del 2015), i dati della disoccupazione giovanile restano molto lontani da quelli pre crisi (nel 2008 era al 15,6%)”. L’indice dello studio che verifica il tasso di opportunità offerte a bambini e ragazzi è indicati della condizione generale della giustizia sociale in Europa. Anche in questo caso l’Europa si divide in due tra i Paesi del Nord, come Svezia, Olanda, Finlandia e Danimarca e i paesi del Sud, Italia, Grecia, Spagna, Bulgaria e Romania.
In Spagna il 34,4% dei bambini e dei ragazzi sono a rischio povertà e esclusione sociale, in Italia il 33, 5 e in Grecia si arriva fino al 37,8%, fino a spingersi fino ad Est in Paesi come Bulgaria (43,7%) e Romania (46,8%).
Sebbene il dato europeo sul rischio povertà dei più giovani non sia per nulla basso, 26,9%, è comunque inferiore ai numeri di quelli che il rapporto chiama “i quattro paesi più colpiti dalla crisi”: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In questo quartetto della crisi tra il 2008 e il 2015 il rischio povertà per bambini e giovani è cresciuto di 4 punti percentuali, da 5,5 a 9,5. “Questo significa”, spiega il rapporto, “che in questi quattro paesi ne sono colpiti oltre 1,9 milioni di più piccoli” che hanno sofferto quella che il report chiama “material deprivation”, deprivazioni materiali come “la mancanza del riscaldamento o del telefono”.
Che la crisi abbia colpito principalmente i giovani lo dimostra anche il fatto che in questi anni gli unici che hanno potuto proteggersi della catastrofe economica erano coloro che avevano risparmi o una sicura entrata mensile: i pensionati. Il rischio povertà delle persone più anziane nei paesi Ue tra il 2008 e il 2015 è sceso dal 23,3 al 17,4%, grazie “alle pensioni pubbliche o a sussidi per persone anziane previste dallo Stato”.
Attualmente, ad otto anni dalla crisi, 11 milioni di persone in Europa sono disoccupate. Nonostante dal 2007 al 2015 il numero delle persone rimaste senza lavoro per un lungo periodo sia raddoppiato, gli ultimi dati parlano di un leggero miglioramento.
Nel 2015 erano quasi i due terzi dei cittadini dell’Ue (215,7 milioni di persone) a svolgere un’attività lavorativa (65,6%), meglio rispetto al 2014 (64,8%). La disoccupazione ha fatto registrare un calo dal 10,4% (2014) al 9,6% (2015), pur rimanendo però a un livello superiore a quelli antecedente la crisi (7,1% nel 2008). Lo stesso si può affermare per la disoccupazione giovanile: in tutta l’Unione europea sono ancora 4,6 milioni (20,4%) i giovani disoccupati (contro il 22,2% nel 2014). Nel 2008 invece la quota era pari soltanto al 15,6% (4,2 milioni di giovani).
Quello che descrive il rapporto dell’istituto tedesco è quello che è possibile vedere ogni giorno nella realtà in cui poche opportunità formative, meno possibilità lavorative e condizioni di partenza economiche e sociali svantaggiate non riescono a cambiare la condizione generale in cui troppe persone vivono una precarietà permanente.