Bruxelles – Rispolverare e provare a tradurre in pratica l’idea, contenuta nei trattati ma mai utilizzata, secondo cui gli Stati membri più ambiziosi possono dare vita ad una collaborazione più stretta nel settore militare. È questo il punto centrale del progetto per rilanciare la difesa comune europea che i ministri degli Esteri e della Difesa dei Ventotto hanno concordato sulla base della proposta avanzata dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri Ue, Federica Mogherini.
Lontano dall’idea di un esercito comune o anche solo di un quartier generale unico per gestire le missioni europee, il piano è in realtà molto cauto, ma apre la porta a quella che l’Italia, nella sua prima proposta su una Difesa comune europea, aveva definito come una “Schengen della Difesa” e cioè la possibilità per alcuni Paesi di proseguire più rapidamente sulla via dell’integrazione nel settore militare lasciando indietro chi trascina i piedi. Si tratta per ora di un passo più che preliminare: “Il Consiglio – recitano le conclusioni messe a punto – concorda di esplorare il potenziale di una Cooperazione strutturata permanente” che, si specifica deve essere “inclusiva”. Si tratterebbe, specifica il testo, di un “approccio modulare riguardo a progetti e iniziative concrete, nel rispetto della volontà degli Stati membri di assumere impegni concreti”. Su questo l’Alto rappresentante dovrà “fornire elementi e opzioni per un’ulteriore riflessione il prima possibile”.
Il progetto in sostanza è ancora alla fase embrionale. Se si passasse alla pratica, i Paesi che intendono dare vita alla cooperazione strutturata permanente (la cosiddetta Pesco) dovrebbero comunque ricevere il via libera del Consiglio a maggioranza qualificata. Iniziare ad usare questo strumento, significherebbe solo sfruttare le possibilità già previste dai Trattati, ricorda il ministro della Difesa italiano: “Non c’è una novità e non c’è la voglia di andare a due velocità”, sottolinea Pinotti, che spiega: “Se l’Europa riesce ad andare tutta insieme alla stessa velocità va benissimo, ma se ci sono invece frenate eccessive e ci sono alcuni Stati pronti su alcune questioni a fare passi ulteriori e accordi non credo ci si debba preoccupare”. Rispetto al testo messo a punto dall’Alto rappresentante, “l’Italia avrebbe anche un livello di ambizione superiore”, ammette Pinotti, secondo cui comunque, viste le difficoltà a mettere tutti d’accordo, si tratta di “un documento molto importante, perché finalmente esiste un piano operativo ed esistono alcune scadenze temporali”.
Come sulla Pesco, anche sugli altri punti il piano resta in effetti molto prudente. Non si arriva ad esempio, come chiedevano sia la proposta italiana sia quella a quattro messa a punto insieme a Francia, Germania e Spagna, all’idea di un quartier generale comune da cui gestire le operazioni Ue. Si parla, è vero, di “adattare le strutture esistenti” per sviluppare le strutture necessarie alla pianificazione e gestione delle missioni. Ma per ora si chiede all’Alto rappresentante solo di presentare proposte per una struttura, che possa coordinare “le missioni militari non-esecutive” (quelle non di combattimento), per le quali non esiste ad oggi un quartier generale europeo. Si è anche concordato di “esplorare la possibilità di fare un migliore uso dei quartieri generali nazionali o multinazionali messi a disposizioni dell’Ue” che già esistono. Non si parla invece di una struttura di coordinamento permanente delle missioni militari, punto inviso a quegli Stati che temono si stia andando nella direzione di una duplicazione della Nato. Una preoccupazione che il piano tenta di placare in ogni modo, ripetendo che il lavoro sulla difesa comune sarà portato avanti “in modo complementare” a quello dell’Alleanza atlantica.
Centrale nelle proposte formulate da Mogherini e accolte dai ventotto, anche l’introduzione di un meccanismo di “revisione annuale coordinata” sulla pianificazione degli Stati in materia di difesa. L’obiettivo è quello di “sviluppare la capacità di affrontare le carenze, approfondire la cooperazione sulla difesa e garantire un utilizzo più ottimale e coerente dei piani di spesa per la difesa”. L’esercizio rimane però “su base volontaria”. Il piano si propone di trasferire nella realtà anche un altro strumento che già esiste ma non è mai stato utilizzato e cioè i “battlegroup”, le forze di risposta rapida dell’Ue. Mogherini è stata incaricata dagli Stati di presentare, entro metà 2017, proposte per rafforzare “la rilevanza e l’usabilità” di tutti gli strumenti di risposta rapida dell’Ue, inclusi appunto i battlegroup, con particolare attenzione alla loro “modularità” e ai mezzi di “finanziamento”.
Un piano “ambizioso, concreto, pragmatico” e “molto sostanziale”, lo definisce Mogherini, secondo cui oggi gli Stati fissando il proprio “livello di ambizione” hanno concordato un “salto qualitativo” su sicurezza e difesa comuni. Le proposte pratiche su cui gli Stati hanno chiesto all’Alto rappresentante di lavorare saranno pronte a settimane, assicura la responsabile della diplomazia Ue perché è importante “tenere la velocità” e procedere con decisioni che non solo debbono essere basate su una “riflessione strategica” ma anche su “risultati rapidi”. Il piano concordato oggi dai ministri tornerà sul tavolo dei leader nel corso del Consiglio europeo di dicembre.