Le prime reazioni dell’Europa all’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti non convincono. Lo spirito è giusto, tutti i leader parlano di necessità di collaborare, il che è quasi ovvio, i legami, come spiega Federica Mogherini per prima questa mattina, sono forti e certo non si cancellano. Lo stesso Trump nel suo discorso dopo i risultati parla di collaborazione con il resto del Mondo.
Il problema è che il Mondo è cambiato, non è più lo stesso di anche solo sei mesi fa. Il Mondo che vede il prossimo presidente degli Stati Uniti è diverso da quello che il mainstream vede oggi. Bastano il voto Brexit e le presidenziali Usa a dimostrarlo. Dunque sì, collaborare, ma sono cambiati i paradigmi, le basi sono diverse, gli elettori chiedono altro da quello che si è dato loro in questi anni. E non è un fatto di crisi economica, negli Usa la ripresa c’è, anche l’occupazione è ripartita, anche meglio va in Germania, dove il partito anti Ue cresce a vista d’occhio. E’ proprio cambiato quello che i cittadini chiedono alla politica, una politica, quella tradizionale, che evidentemente non li capisce più.
Ora, per l’Europa, cosa cambia? Le prime parole di Trump sono in qualche modo tranquillizzanti, i prossimi due mesi prima dell’insediamento serviranno a capire meglio cosa ci aspetta, e benché non crediamo si tratterà di una rivoluzione, molto cambierà.
L’Unione europea è “forte”, dice Mogherini, bene, è ora di dimostrarlo. I campi sui quali certamente cambierà qualcosa sono molti, a partire dalla Difesa. L’Unione deve dare ai suoi cittadini il messaggio che esiste, che ha un suo nerbo, che non sta a rimorchio delle scelte di altri. Lo siamo sempre stati con gli Usa, ed ora probabilmente Trump invece si allontanerà, anche dalla Nato. Dunque bisogna procedere a passi spediti sulla Difesa comune, che non è l’esercito unico, al quale nessuno crede seriamente, ma a una politica comune, con un Quartier generale comune per le azioni che i Paese dell’Ue decideranno di fare insieme. Vuol dire una politica industriale della difesa coordinata, che consenta meno sprechi e più efficienza. E servono anche scelte sul dove intervenire, su qual è la vera zona di influenza europea. Molto di questo è nella Global Strategy elaborata da Mogherini e i suoi, ma non deve restare sulla carta, come capita a troppe iniziative europee.
L’Unione europea deve dare prova di sapersi assumere delle responsabilità. Le relazioni con la Russia, dove la Borsa, a differenza di quelle europee è euforica, cambieranno, Trump con Putin ha una volontà di dialogo che è all’opposto di quanto fatto da Barack Obama. Bruxelles e gli stati membri come si porranno? Putin si sentirà più forte nella sua aggressiva politica estera? Forse ne avrà la possibilità, e l’Europa come risponderà? Ancora con le sanzioni? Cercherà una nuova amicizia? La questione è trovare una posizione che non schiacci l’Ue in una politica senza respiro, stretta tra Russia e Usa.
Anche la politica commerciale entra in discussione. Donald Trump non vuole, diceva in campagna elettorale, il Ttip, i trattato di libero scambio con l’Ue. Le aziende statunitensi ed europee useranno il Ceta, il trattato con il Canada, come cavallo di Troia, se entrerà poi in vigore? Ha ancora un senso rincorrere gli Stati Uniti o forse ci vogliono nuove idee, che gli elettori possano condividere, con le quali si sentano davvero protetti?
La grande paura dei leader che ora guidano l’Europa è la crescita del populismo, fenomeno che invece stanno favorendo molto, a giudicare dai risultati elettorali. Bisogna che la politica tradizionale, se vuole reagire, esca dal suo autismo, dalla sua difesa di pratiche evidentemente sconfitte dalla storia e dai cittadini, e cominci ad ascoltare le domande che salgono dalla società, che, populismo a parte, è evidentemente insoddisfatta di come è guidata.