Bruxelles – “Sono io ad essere terrorizzato dalla polizia. In realtà, chiamano noi terroristi”. Sono le parole del reporter Faycal Cheffou che lo scorso 22 marzo in poche ore divenne per tutti “l’uomo con il cappello” identificato come il terzo terrorista dell’attentato all’aeroporto Zaventem di Bruxelles. “Se digiti il mio nome su Google, esce ancora ‘terrorista’”, fa notare il giornalista.
Sono passati quasi 8 mesi da quando la capitale belga subì l’attentato terroristico coordinato all’aeroporto di Zaventem e alla stazione della metro Maelbeek e Faycal Cheffou, arrestato e rilasciato dopo una settimana per mancanza di prove, racconta la sua vicenda alle telecamere di Human Rights Watch (Hrw): “Non c’è nessuna prova, niente. Ma in questo caso è la polizia che mi sta terrorizzando”.
L’organizzazione internazionale sui diritti umani ha presentato questa mattina un rapporto sugli abusi perpetrati in questi mesi dalla polizia belga durante le operazioni antiterrorismo messe in atto all’indomani degli attentati di Bruxelles, 32 morti, e di Parigi del 13 Novembre del 2015, in cui morirono 130 persone.
Il Belgio è il primo Paese da cui inizierà un lungo lavoro di Human Rights Watch sul rispetto dei diritti umani nell’applicazione delle misure antiterrorismo. Il Belgio è la cartina di tornasole per tutti i Paesi europei proprio, perché è il primo Paese dell’Occidente per numero di terroristi da lì provenienti che sono entrati nelle file dell’Isis. Secondo il governo federale almeno 450 belgi si sono uniti e hanno provato a unirsi allo Stato Islamico.
Nelle 56 pagine del report “Motivi di preoccupazione: la risposta nella lotta al terrorismo da parte del Belgio dopo i casi degli attacchi di Parigi e Bruxelles”, sono documentati 26 casi di abusi da parte della polizia, dei soldati o delle autorità carcerarie nei confronti di persone della comunità araba e nord africana che vivono sul territorio belga, principalmente a Bruxelles, e sono sospettati o accusati di essere terroristi. “Tutti tranne uno sono musulmani”, si legge nel rapporto, “e tutti tranne due hanno origini nordafricane”.
Gli abusi sono molti e diversi: dagli insulti come “sporco arabo” o “sporco terrorista”, “all’uso di azioni violente e improvvise per fermarli e arrestarli, fino all’uso eccessivo della forza nei confronti di chi è stato fermato perché sospettato di terrorismo ed è stato picchiato o sbattuto con la forza contro un’automobile”.
Quando dal sospetto si passa al fermo e poi all’arresto la condizione di queste persone sospettate di terrorismo non cambia. Human Rights Watch ha denunciato casi di “isolamento prolungato nelle carceri, l’uso della sospensione dei passaporti e delle carte di identità, il governo belga ne ha sospesi 250, il ricorso a azioni investigative su e-mail e cellulari di persone sospettate di terrorismo”, mettendo così in pericolo la privacy. “Tutto questo senza che vi fosse alcuna autorizzazione giudiziaria”.
Una delle misure antiterrorismo introdotte in Belgio nel 2015 stabilisce che è possibile mettere in isolamento un detenuto per un massimo di 23 ore al giorno. Human Rights Watch denuncia che ci sono casi in cui “alcuni detenuti sono stati tenuti in isolamento per almeno 10 mesi”. Inoltre, sempre secondo le testimonianze raccolte dall’organizzazione ci sono stati due casi in cui “le autorità carcerarie hanno continuato a mantenere il detenuto in isolamento sebbene avesse tentato il suicidio e lo psichiatra fosse stato informato che il detenuto ‘parlava con le mura’”. Attualmente almeno 35 detenuti per motivi terroristici sono in regime di isolamento.
Non solo dentro le carceri, ma anche nelle strade della capitale belga ci sono situazioni che rischiano di far sfociare le misure di sicurezza nell’ambito delle violazione di diritti umani. Dal gennaio del 2015, dopo gli attacchi di Parigi, le vie di Bruxelles sono pattugliate da 1.800 soldati. “Sebbene il loro ruolo possa essere giustificato e proporzionale, un’eccessiva presenza dei militari per strada”, secondo Hrw, “non è desiderabile in un contesto di polizia civile”.
Human Rights Watch non ha parlato solo con coloro che hanno deciso di denunciare gli abusi. Hanno interpellato più di 30 attivisti dei diritti umani a livello nazionale e locale, ufficiali governativi, poliziotti, esperti di sicurezza e giornalisti e hanno visionato più di 30 proposte di legge e regolamenti relativi alla sicurezza antiterrorismo.
L’organizzazione è stata ricevuta anche dal governo belga che ha dichiarato “che sono in corso numerose indagini su alcuni incidenti relativi a presunte violenze verbali e fisiche” di cui sono responsabili poliziotti che hanno agito nella fase successiva agli attacchi, ma che “si tratta di casi isolati e in nessun caso sono il risultato di una politica deliberata”.
Sebbene l’organizzazione internazionale riconosca la necessità e il desiderio dei governi di adottare misure contro il terrorismo, “le azioni per combattere il terrorismo non devono essere prese a discapito dei diritti umani”, ha dichiarato Letta Tayler, ricercatrice di Hrw e autrice del rapporto, “La polizia e le autorità possono mettere in pratica le leggi e fare le indagini nel rispetto dei diritti umani. Questo è il modo efficace di combattere il terrorismo. Altrimenti”, ha aggiunto, “gli abusi non sono solo orribili e immorali, ma spingono le comunità a nascondersi o ad aver paura dello Stato e questo è proprio ciò che vuole l’Isis. Loro vogliono creare un muro tra il governo e le comunità islamiche”.