Bruxelles – Finalmente l’Italia si è messa in regola con le richieste dell’Europa e ha cominciato a fare la sua parte nella gestione dei flussi migratori, raccogliendo il 100% di impronte digitali di chi sbarca sulle sue coste. Già, ma come e a che prezzo? A raccontarlo ci pensa un report di Amnesty International che ha tentato di fare luce su quello che ha iniziato ad accadere negli hotspot italiani dopo i ripetuti appelli di Bruxelles perché l’Italia facesse di più per l’identificazione dei migranti. L’organizzazione ha condotto interviste e conversazioni con centinaia di migranti nei centri di accoglienza di Roma, Palermo, Agrigento, Catania, Lampedusa, Taranto, Bari, Agrigento, Genova, Ventimiglia e Pozzallo. Le testimonianze raccolte sono agghiaccianti. “C’erano sei poliziotti in uniforme. Con un bastone mi hanno colpito sulle spalle, sul fianco e sul mignolo della mano sinistra che da allora è storto. Sono caduto e hanno cominciato a calciarmi, non so quante volte, è durato dieci minuti o qualcosa del genere. Ero spaventato”. Il racconto di Adam, ventisettenne del Darfur sbarcato a Catania il 26 giugno è uno dei molti di questo tenore.
“Hanno preso la mia mano per metterla nella macchina” che registra le impronte digitali. “Ho lottato e hanno cominciato a prendermi a pugni e a calci dappertutto per mezz’ora. Alla fine hanno avuto le mie impronte digitali”, racconta Abker, ventisettenne, anche lui sudanese. Al trattamento non sono scampati nemmeno i ragazzini. “Mi hanno chiesto di dare le mie impronte digitali ma ho rifiutato. Ero da solo con cinque poliziotti e mi hanno colpito. Uno mi ha calciato alla caviglia con le scarpe da poliziotto che hanno la punta in ferro. Mi fa ancora male. Mi hanno dato pugni dappertutto e mi hanno piegato le dita all’indietro. Alcuni mi spingevano le dita nella macchina per le impronte digitali e altri mi colpivano”, riferisce Ishaq, appena 16 anni, fermato mentre tentava di attraversare la frontiera a Ventimiglia.
Ma i racconti dell’orrore continuano e oltre a calci e pugni, parlano di scosse elettriche. “Mentre qualcuno mi teneva le mani e le gambe, mi scaricavano elettricità sulla schiena con un bastone elettrico. Mi sentivo male. Mi hanno messo su una sedia. Hanno messo i miei due indici sulla macchina, non sentivo più niente”, è il trattamento subito da Salah a Cagliari. Il bastone elettrico tocca anche ai più piccoli, come Djoka, sedicenne identificato in Sicilia: “Dopo tre giorni – riporta ad Amnesty – mi hanno portato nella ‘stanza dell’elettricità’”. Qui, visto il rifiuto di farsi prendere le impronte digitali “mi hanno dato scosse elettriche con un bastone, molte volte sulla gamba sinistra, sulla gamba destra, sul petto, sulla pancia. Ero troppo debole, non riuscivo a resistere e a quel punto mi hanno preso le mani e le hanno messe sulla macchina”.
In due casi i migranti parlano di torture dirette ai genitali e umiliazioni. Lo fa Ishaq, fermato dalla polizia in una stazione ferroviaria di Torino: “Ci hanno fatto spogliare tutti nudi. La polizia ha iniziato a ridere”, racconta ad Amnesty. E ancora: “Mi tenevano per i quattro arti, una persona per ciascuno. Il quinto mi tirava il pene verso il basso fino a che non mi sono seduto. A quel punto mi hanno fatto una foto mentre uno di loro mi girava la testa verso la macchina fotografica. E sono riusciti a mettere le mie mani sulla macchina delle impronte digitali… Per due giorni ho sanguinato ogni volta che urinavo”. Adam racconta di un’esperienza del genere a Catania, dopo il rifiuto di farsi identificare. “Mi hanno fatto spogliare, mi sono tolto i pantaloni e non indossavo biancheria. Hanno usato uno strumento – una sorta di pinza con tre braccia… Ero su una sedia di alluminio con un’apertura sulla seduta. Mi tenevano per le spalle e le gambe, hanno preso i mie testicoli con la pinza e hanno tirato due volte. Non posso descrivere quanto era doloroso”.
Anche senza arrivare ai casi più estremi, Amnesty riporta moltissimi casi in cui i migranti hanno raccontato di avere subito violenze e maltrattamenti, di non avere ricevuto l’assistenza minima di base, di essere stati detenuti senza motivo per periodi di tempo prolungati o di essere stati minacciati. Trattamenti come quelli descritti dai migranti “corrispondono a tortura secondo la definizione della convenzione delle Nazioni Unite”, accusa Amnesty International, che ricorda come “la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti siano assolutamente proibiti” secondo il diritto internazionale. “Particolarmente allarmante”, secondo l’associazione, la quantità di testimonianze che parlano dell’uso di scosse elettriche: “I bastoni elettrici sollevano preoccupazioni per i diritti umani in particolare perché possono portare ad abusi tramite l’uso prolungato o shock multipli”, protesta Amnesty, ricordando che “secondo la legislazione Ue” strumenti di questo tipo dovrebbero essere “strettamente controllati per ridurre il rischio di essere usati per violazioni dei diritti umani”.
In molti hotspot italiani, insomma, pare ci si sia spinti decisamente troppo oltre nell’uso di quella coercizione per raccogliere le impronte digitali che è stata però richiesta proprio dalla Commissione europea per aumentare il tasso di registrazioni. Già nel 2014 l’esecutivo comunitario parlava di un “proporzionato uso della forza” tra le “migliori pratiche” che gli Stati avrebbero dovuto mettere in atto per rispettare l’obbligo di raccolta delle impronte digitali. Un fronte su cui l’Italia è stata a lungo carente, tanto che nel 2015 l’esecutivo Ue ha aperto un’infrazione contro il nostro Paese imponendoci di arrivare “senza ritardi” ad un 100% di identificazioni e raccomandando di adottare la legislazione sugli hotspot “in particolare per permettere l’uso della forza nella raccolta delle impronte digitali”. A fine dicembre 2015 il rapporto della Commissione sui progressi fatti dall’Italia sottolineava: “Ulteriori sforzi, anche a livello legislativo, devono essere accelerati dalle autorità italiane per provvedere un quadro legale più solido per svolgere le attività degli hotspot e in particolare per consentire l’uso della forza per raccogliere le impronte digitali e per prevedere disposizioni in materia di detenzione più a lungo termine per quei migranti che resistono alla raccolta delle impronte digitali”. Nonostante le richieste l’Italia non ha modificato la legislazione nel senso richiesto, eppure la mancanza di un quadro legale non ha impedito un’impennata delle identificazioni dei migranti: a marzo 2016, la Commissione europea ha riconosciuto che il tasso di raccolta delle impronte digitali in Italia “ha quasi raggiunto il 100%”.
Di fronte al report di Amnesty, però, la Commissione europea declina qualunque responsabilità per un eventuale uso eccessivo della forza negli hotspot italiani: “Ogni forma di abuso e violazione dei diritti dei migranti è inaccettabile e prendiamo ogni accusa seriamente”, commenta la portavoce dell’esecutivo Ue per l’immigrazione Natasha Bertaud, sottolineando però che “la gestione del processo che avviene negli hotspot rimane di responsabilità delle autorità italiane. Da parte nostra – assicura la portavoce – non abbiamo notizie da nessuna delle agenzie Ue né dalle ong che lavorano sul territorio che comportamenti come quelli di cui si parla nel report siano avvenuti”. In ogni caso la Commissione assicura che si metterà in contatto con le autorità italiane per verificare che nessuna delle accuse sia fondata.