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    Home » Non categorizzato » Due terzi del debito globale è del settore privato

    Due terzi del debito globale è del settore privato

    [di Maurizio Sgroi] L’alto livello di debito privato aumenta le probabilità di un’altra crisi finanziaria, a sua volta accompagnata da perdite di prodotto e distruzione di ricchezza.

    Redazione</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/eunewsit" target="_blank">eunewsit</a> di Redazione eunewsit
    28 Ottobre 2016
    in Non categorizzato

    di Maurizio Sgroi 

    Se davvero fossimo capaci di usare saggiamente il debito, come consiglia l’FMI nel suo ultimo Fiscal Monitor, non saremmo arrivati al punto di cumularne uno globale che supera il 225% del PIL mondiale, due terzi dei quali – circa 100 trilioni – sono stati originati dal settore privato. Se poi la saggezza suggerita dall’FMI dovesse valere da oggi in poi, allora dovremmo cominciare ricordando che questa montagna di obbligazioni non pesa per tutti allo stesso modo, anche se tutti saremo chiamati a pagarne le conseguenze.

    Il paesaggio del debito, infatti, chiamiamolo così, è assai composito. «Il debito privato è alto nei paesi avanzati e in pochi sistemicamente importanti economie emergenti», con trend che sono stati assai diversi dal 2008 in poi. «Le economie avanzate – spiega l’FMI – che sono state l’epicentro della crisi, hanno diminuito i debiti in maniera non uniforme e in alcuni casi i debiti privati sono anche aumentati. Anche i debiti pubblici sono aumentati in questi paesi, in parte a causa dei bailout bancari». Oltre a questo, è notevole la circostanza che «le facilitazioni al finanziamento internazionale hanno condotto a un boom del credito privato in alcune economie emergenti, specialmente in Cina». E difatti il grafico che monitora l’andamento del debito globale ha un andamento molto diverso se si aggiunge la Cina o si sottrae. Infine nei paesi a basso reddito, il debito è aumentato, ma i livelli debito/PIL rimangono contenuti. In sostanza, è molto indebitato chi se lo può permettere. Ma poi se lo può permettere davvero?

    Ancora una volta, l’invito a esser saggi è da considerarsi con attenzione, perché sempre più numerose e allarmate si fanno le voci di chi teme che, alla lunga, questa montagna di debiti finirà con lo zavorrare anche l’economia più dinamica, come peraltro lascia sospettare l’andamento declinante della crescita che lo stesso FMI ha illustrato nel suo ultimo World Economic Outlook. Ciò probabilmente anche a causa della lentezza con la quale sta procedendo il disindebitamento, frenato dall’inflazione bassa sulla quale evidentemente contavano tutti per avere un aiutino, gli stati come le imprese.

    Saggezza dovrebbe ricordarci, inoltre che un alto livello di debito privato, come ci ricorda sempre l’FMI, aumenta le probabilità di una crisi finanziaria, a sua volta accompagnata da perdite di prodotto e distruzione di ricchezza, oltre alla circostanza che avere tanti debiti scoraggia sia l’investimento che il consumo.

    «L’evidenza suggerisce – osserva il Fondo – che per ottenere un deleveraging significativo servano la crescita e l’inflazione, quindi cosa bisogna fare in mondo costretto da vincoli sempre più stringenti?». Esperto in domande retoriche, l’FMI si risponde che, sul fronte fiscale, programmi sponsorizzati dai governi per ridurre i debiti – si pensi alla questione degli NPLs – potrebbero aiutare. «Ma la politica fiscale non può risolvere il problema da sola», sottolinea. Come d’altronde neanche la politica monetaria può, come ci ricordano ormai pressoché ogni giorno le banche centrali.

    Sicché bisogna innanzitutto impedire che la montagna cresca ancora, «specialmente nei paesi emergenti», nota Vitor Gaspar, direttore del dipartimento degli affari fiscali dell’FMI. Che è come dire che bisogna chiudere la stalla anche se i buoi sono fuggiti. E poi sperare di riuscire a ritrovarli.

    Buona fortuna.

    Pubblicato sul blog dell’autore il 28 ottobre 2016. 

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