Roma – “Ho il dovere di garantire il buon andamento dei lavori” parlamentari, “e mi preoccupo per questo ritardo” sulla trasmissione del disegno di legge di bilancio da parte del governo. Il timore espresso dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, è dettato dalla necessità di avere il giusto tempo per esaminare il testo che l’esecutivo avrebbe dovuto inviare entro lo scorso 20 ottobre, come previsto dal nuovo iter stabilito per legge, e che invece ancora non è stato trasmesso.
Al di là delle legittime preoccupazioni di Boldrini per l’organizzazione dei lavori, però, questo ritardo si presta a interpretare in una diversa luce il braccio di ferro in atto tra Roma e Bruxelles su quella che fino allo scorso anno veniva chiamata Legge di stabilità. Si sa infatti che la Commissione europea, insoddisfatta dalla bozza che il governo italiano ha trasmesso la settimana scorsa, ha già pronte richieste di chiarimento sui punti che non la convincono. Una lettera che potrebbe arrivare tra oggi e domani, e che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in una intervista a In mezz’ora, la trasmissione domenicale di Lucia Annunziata su Rai 3, ha già derubricato a fatto “fisiologico”.
E se anche questo fatto fisiologico dovesse rivelarsi una severa bocciatura, l’inquilino di Palazzo Chigi conferma di non avere nessuna intenzione di cambiare una manovra che lui ritiene indispensabile per dare fiato alla ripresa economica, e che per i suoi detrattori è l’ennesima elargizione di bonus elettorali, per ottenere consenso in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre.
È proprio sull’annuncio di non voler cambiare il bilancio che entra in gioco il ritardo con cui il testo si appresta ad arrivare alla Camera dei deputati. Perché se nessuno ha ancora visto il disegno di legge – Bruxelles ne ha ricevuta una bozza, che ovviamente non è stata resa pubblica – chi sarà in grado di dire, una volta che il testo sarà pubblico, se di cambiamenti ce ne siano stati o meno?
Dal ministero del Tesoro, i ritardi vengono attribuiti ai tempi necessari alla Ragioneria dello Stato per predisporre le tabelle degli effetti finanziari derivanti dalla parte normativa che è già nero su bianco. Inoltre, si esclude qualsivoglia legame con la lettera in arrivo da Bruxelles. Sta di fatto che la manovra tarderà ancora ad arrivare a Montecitorio. Sembra ormai certo che deputati la riceveranno solo dopo che la Commissione avrà indicato al governo i propri rilievi.
A pensar male, dunque, lo spazio per qualche ritocco che riduca le distanze tra l’esecutivo europeo e quello italiano c’è. Non si agirà probabilmente sulle cifre del deficit, che dunque rimarrebbe al 2,3% del Pil, consentendo a Renzi di far vedere – soprattutto all’elettorato più attratto dall’euroscetticismo di Lega e M5S – che è capace di tenere la posizione contro Bruxelles.
Per la Commissione, del resto, il punto non è tanto quello 0,1% di deficit in più rispetto a quanto sarebbe stato concordato. A preoccupare sono più le coperture, fatte da troppe voci non strutturali come il condono sui capitali nascosti, le privatizzazioni, l’asta per le radiofrequenze e altre entrate che non si potranno ripetere negli anni futuri. Misure una tantum che dunque portano il deficit strutturale a livelli preoccupanti, tanto più nell’ottica di un paracadute, quello dell’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, destinato prima o poi a richiudersi.
I continui contatti tra Roma e Bruxelles, confermati anche in queste ore, appaiono dunque finalizzati a mediare più su questi aspetti che non sulle spese per i migranti o per la ricostruzione post sisma. In ogni caso, anche se le distanze non dovessero ridursi abbastanza, la volontà politica della Commissione rimane quella di evitare mosse che danneggino la campagna referendaria di Renzi, il quale appare determinato a proseguire nel solco dello scontro, convinto che questa strategia paghi di più.
Una eventuale bocciatura della manovra a novembre, quindi, non sarebbe un grosso problema. Anche perché il giudizio definitivo, con eventuali richieste di sanzioni, non arriverebbe che in primavera, quando il voto per il referendum sarà passato da un pezzo e ci sarà stato magari anche il tempo di una manovra correttiva per evitare un’infrazione. Sempre che il premier non si trovi in uno scenario – riforma costituzionale approvata e sondaggi favorevoli, con magari anche l’italicum invariato – che gli suggerisca di cercare la strada del voto anticipato per incassare il massimo risultato. A quel punto, anche la correzione dovrà aspettare, e Renzi batterà invece sul tasto che da qualche tempo risuona più insistente dal suo esecutivo: quello della fine del Fiscal compact. Ma qui siamo già troppo in là con le previsioni.