Per gli amanti della musica (e non solo) vivere a Bruxelles, rappresenta sicuramente un grande vantaggio. Posizionata giusto al centro dell’Europa, consente di raggiungere in tempi ragionevoli alcune città e zone molto interessanti come Londra, Amsterdam e le vicinissime Fiandre, che la circondano interamente. Proprio a nord di questa piccola regione belga, ho avuto modo di assistere al concerto di Amanda Pearcy – interessante cantautrice texana, di Austin – che ha suonato accompagnata dal bravo chitarrista olandese Ruben Klavers – in una cittadina dal nome impronunciabile, a qualche chilometro da Bruges. Personalmente avevo avuto modo di conoscerla già tre anni fa, in occasione di un’intervista gentilmente concessami per un web magazine, ma la sua “storia discografica” era già iniziata nel 2009, per la verità un po’ in sordina. Con la pubblicazione dell’album “Royal Street”, nel 2013 anche il grande pubblico europeo, appassionato di country/folk, ha iniziato ad apprezzarne le qualità artistiche come la voce intrigante e l’intenso songwriting. Ciò che mi colpì, ascoltando quel disco, fu la capacità delle sue canzoni di tele-trasportarmi, con l’immaginazione, nei posti del sud degli Stati Uniti in cui si dipanano le storie che racconta. A conferma di ciò, nel 2015, è poi arrivato un lusinghiero riconoscimento all’artista anche da parte della critica specializzata, visto che la Euro Americana Chart (network di numerose riviste musicali europee che scrivono recensioni sul genere in questione) ha assegnato alla sua ultima prova, intitolata “An Offering”, il primo posto della classifica annuale.
Nel corso del concerto, con al collo una chitarra acustica, ha pescato alcuni pezzi da entrambi i dischi citati, partendo dalle più recenti – l’apertura languida di “Ribbons and bone” o il blues intrigante di “Ode to Billy Joe” – per poi passare a quelle di tre anni fa come ad esempio la cullante midtempo “Unbind” e soprattutto una sorta di preghiera, dal titolo “Thousand tender recollections” (in verità la mia preferita in assoluto), che in studio suonava quasi come un vero e proprio gospel. Da citare sicuramente le versioni scarne delle ballatone “Tougher than the rest” da “Tunnel of Love” di Bruce Springsteen e “No Expectations”, presa da Beggars Banquet dei Rolling Stones, già incisa dalla Pearcy su “Royal Street”. Nel finale ha lasciato spazio anche a Ruben Klavers che, con soli due pezzi e il suo rockeggiante dobro, è riuscito a dare più di un’idea del sound blues del suo album “Home” (da me utilizzato per fare da colonna sonora al piacevole viaggio di ritorno notturno).
Una serata spensierata, passata in una specie di saloon il cui nome Cowboy Up era già sufficientemente indicativo dell’atmosfera che avrei trovato, con tanto di cappelli western indossati dal personale. Promesse, direi, più che mantenute a beneficio di chi, come il sottoscritto, non esiterebbe un attimo a trasferirsi per lungo tempo in stati come Texas, Louisiana o Tennessee, dove la musica roots/country regna incontrastata da decenni.