Arriva come ogni anno la Settimana della lingua italiana e puntualmente anche l’esplosione di trionfalismi che la accompagnano sulla diffusione della nostra lingua nel mondo. Ci si attacca a tutto per dimostrare il falso. Quest’anno l’argomento è il numero di negozi e botteghe alimentari o di abbigliamento stranieri che si danno un nome italiano. Come la Pizzeria Caruso o la merceria Valentina. Per fare il saldo, bisognerebbe allora anche mettere nel conto tutte le marche italiane di vestiti o altro che si danno un nome straniero, dalle scarpe Todd’s alle cioccolate Kinder. Se la forza della nostra lingua si misura così, stiamo veramente grattando il fondo del barile. La verità è che l’Italia non è neppure in grado di soddisfare l’interesse che suscita la sua cultura e la sua lingua nel mondo, che gli Istituti di cultura all’estero non hanno un soldo e sono abbandonati a se stessi senza neppure riuscire a vendere un giornale o un caffè nei loro locali, prigionieri di una mentalità burocratica e assolutamente incapace di fare della cultura una risorsa economica, come invece sta facendo in Italia il Ministro Franceschini.
La nostra lingua, come il nostro patrimonio culturale, potrebbe essere una miniera d’oro e mille sono le possibilità di sfruttarla. Dall’opera lirica alla cucina, dalla canzone al cinema. Ancora di più, la lingua può essere un poderoso strumento di influenza, sempre a sapervi investire. Prendiamo l’esempio delle nostre ex colonie, dove malgrado tutto c’è ancora simpatia per l’Italia. Tutti paesi oggi instabili o devastati dalla guerra. Qualcuno hai mai pensato in Italia di attirare presso le nostre università giovani leader di questi paesi per formare una nuova classe dirigente? Così si faciliterebbe un cambio di regime assicurando all’Italia un rapporto privilegiato con il nuovo apparato. Ma no, noi siamo fermi ai corsi di italiano per pensionati che studiano la nostra lingua come passatempo dopo averne già studiate altre due. Insomma, gente che arriva all’italiano a 80 anni, come mostrano le statistiche. Questi sono i nostri investimenti strategici.
La Settimana della lingua italiana quest’anno comprende anche una campagna di propaganda dall’infelice nome di Programmatica, nel senso di valorizzazione della grammatica. Chissà in quanti capiranno. A questa iniziativa è associata anche la Rai e già questo dovrebbe farci accapponare la pelle per come sentiamo storpiare l’italiano nei nostri telegiornali, dai congiuntivi alle pronunce. Fateci caso, anche nello stesso servizio televisivo Kabùl può diventare Kàbul, Al Quàeda si fa Al Quaéda, la capitale della Spagna diventa Màdrid, alla romana, il Presidente Hollande viene pronunciato all’inglese con l’acca aspirata e poi via con raccapriccianti costruzioni del tipo “Lo stiamo per cominciare a vedere” mentre i Jihadisti sono ormai da tutti chiamati Jahidisti. Quindi bisognerà di conseguenza abolire la Jihad e sostituirla con la Jahid. Lo sapranno quelli di Daesh? Temo di no, perché la Rai spesso li chiama Dash e l’Isis diventa Aisis, all’inglese, chissà perché, come del resto Pechino scompare dagli atlanti e lascia il posto a Beijing: un altro chiaro segno di ignoranza non solo linguistica ma planetaria. Intanto a sostegno della campagna, il Presidente Mattarella diffida dall’abuso dell’inglese, come se gli italiani lo sapessero così bene che non riescono a trattenersi. Dovrebbe diffidare invece dalla superficialità e dall’angustia mentale quei tanti che in nessuna lingua sanno più quello che dicono, perché oggi è diventato un valore non farsi capire, nascondersi dietro le parole quando non si ha nulla da dire o lamentarsi di essere stati fraintesi. Come se la colpa del fraintendimento ricadesse sempre sugli altri e mai su chi non parla chiaro.
Ma tant’è, l’italiano è la lingua più bella del mondo, continuiamo a dirci, perché è musicale e si pronuncia come è scritta. Dimentichiamo che è scritta da noi e che di ogni altra lingua i suoi locutori potrebbero dire lo stesso. A tutti è chiaro solo quel che è familiare. Io personalmente sono sicuro di capire davvero l’italiano solo in Svizzera. L’italiano svizzero suona forse strano ma è inequivocabilmente chiaro. Perfino la politica italiana letta sui giornali svizzeri diventa comprensibile. L’ennesimo segno che il problema non è la lingua. Siamo noi.