Bruxelles – Fino alla settimana scorsa era solo il presidente di una piccola regione del Belgio di poco più di 3 milioni e mezzo di abitanti. Oggi è l’eroe della sinistra radicale europea, degli antiliberisti e anti capitalisti di tutta l’Ue. Con il suo veto alla firma del Ceta, l’accordo di libero scambio con il Canada, ratificato dal Parlamento regionale a grandissima maggioranza, il presidente della Vallonia Paul Magnette è balzato all’onore delle cronache di tutta Europa, novello Davide nella battaglia impari contro un Golia nelle vesti del liberismo transatlantico.
Membro del Partito socialista belga Magnette è un professore di scienze politiche, conosciuto anche livello internazionale. Insegna all’Ulb di Bruxelles, dove è direttore dell’Istituto di studi europei, e all’Istituto di studi politici (Iep) di Parigi. È stato anche professore invitato alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. La sua specializzazione è la costituzionalizzazione dell’Unione europea, nella quale ritiene ci voglia più democrazia. I titoli dei suoi libri danno un’idea del suo punto di vista: “Controllare l’Europa: potere e responsabilità nell’Ue”, “L’Europa, lo Stato e la democrazia: il sovrano domato”, “In nome dei popoli, la malintesa costituzione europea” e “Ripensare l’Europa”.
Nella prefazione a “Il regime politico de l’Unione europea”, scrive: “L’Unione, in quanto unione di Stati, non può funzionare se non riesce a costruire dei legami di comprensione e di fiducia reciproca tra coloro che rappresentano gli Stati membri nelle sue istanze”, senza questo legame “non si riuscirà a spiegare alle opinioni pubbliche nazionali, le sole che esistono realmente oggi, che quello che si decide a Bruxelles è utile tanto per il Nord, quanto per il sud e l’est e l’ovest, per gli Stati grandi come per quelli piccoli, per i vecchi e i nuovi paesi membri”. In un regime politico come l’Unione, scrive ancora nella prefazione, “la leadership, così come la legittimità, non può che essere collettiva”.
E a controllare l’Europa ci sta pensando non solo come accademico, ma anche in quanto politico. Il 45enne Magnette vanta una lunga militanza nel Partito socialista del Belgio. Certo non è un militante del Ptb, il Partito dei lavoratori, ma sicuramente si può inscrivere nell’area radicale della formazione socialdemocratica. Anche qui i titoli dei suoi libri danno un’idea di quale sia il suo pensiero: quello su “Pasolini politico” ma soprattutto “La sinistra non muore mai”, in cui critica l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder e l’ex premier britannico Tony Blair affermando che i socialisti non devono seguire la via del social-liberismo. Per Magnette la sinistra non è in ottima salute, ma non dappertutto. “Non bisogna mentire, la sinistra è profondamente in crisi in Europa, ad eccezione del piccolo villaggio gallico che è la Vallonia”, disse durante una presentazione del suo libro. E i Galli, sempre ribelli, stanno ora combattendo contro il Ceta, visto che l’impero romano è scomparso da secoli.
La sua carriera politica è iniziata nel giugno 2007 quando l’allora presidente dei socialisti valloni, il futuro premier Elio Di Rupo, lo chiamò per gestire una crisi nel partito a Charleroi, dove riuscì a far dimettere dei consiglieri finiti in uno scandalo di corruzione e a salvare la maggioranza di governo della città grazie a un nuovo accordo. Pochi giorni dopo verrà chiamato sempre da Di Rupo a prendere parte al governo regionale nel ruolo di ministro della Salute, dell’Azione sociale e dell’Uguaglianza. Cinque mesi più tardi il grande salto quando viene nominato dal premier liberale Guy Verhofstadt ministro federale al Clima e Energia. Nelle elezioni del giugno 2010 è capolista dei socialisti al Senato, e ottiene 264.167 preferenze, uno dei risultati migliori della storia politica in Belgio. In quella legislatura viene nominato ministro federale delle Imprese pubbliche e della Politica scientifica. Nel 2012 si candida alle comunali di Charleroi, il Comune della Vallonia in cui in qualche modo tutto era cominciato, e viene eletto sindaco. Due anni più tardi l’elezione alla carica di presidente della Regione, poltrona dalla quale si sarebbe poi trovato, inaspettatamente, a sfidare l’intera Europa e a contribuire a scriverne le sorti.