Roma – La speranza è l’ultima a morire per il ministro degli Interni maltese Carmelo Abela, ma al di là del suo diplomatico ottimismo, emerge la consapevolezza delle difficoltà dell’Ue nell’avviare una gestione comune della questione migratoria. Nel corso della sua audizione davanti alle commissioni Affari costituzionali, Difesa e Politiche Ue del Senato, alle quali ha illustrato le priorità del prossimo semestre di presidenza Ue che spetterà proprio al suo Paese, si è mostrato scettico sulla “solidarietà flessibile” evocata dal presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, a proposito della redistribuzione dei rifugiati. “Di primo impatto mi verrebbe da pensare che la solidarietà o c’è o non c’è”, ha dichiarato, ma in colloquio a margine dell’audizione si è detto disponibile ad attendere spiegazioni su come si possa declinare nel concreto l’espressione dal capo dell’esecutivo europeo
Ministro Abela, il Consiglio europeo che inizia domani può compiere quei progressi sulla questione migratoria che ci si attendeva dal deludente Vertice di Bratislava?
La speranza non deve mai mancare. L’importante è fare passi insieme, come Paesi dell’Ue, e che le nostre azioni siano orientate all’interesse comune. Bisogna impedire che uno Stato membro, per interesse nazionale, prenda decisioni autonome che mettono in difficoltà gli altri partner.
In audizione si è detto scettico sulla “solidarietà flessibile” di cui ha parlato Juncker a proposito dell’accoglienza. Prevedere penalizzazioni sui finanziamenti europei per i paesi che si rifiutano di accogliere può essere il giusto incentivo alla solidarietà?
Speriamo di non dover arrivare a quel punto. Se i valori di solidarietà sono alla base dell’Unione europea, allora dobbiamo agire secondo i nostri valori. Prima di dare giudizi, dobbiamo attendere ancora un po’ per capire cosa voglia dire “solidarietà flessibile”. Ma certamente il punto è che tutti gli Stati membri devono agire insieme, e non ci può essere qualcuno che prende solo ciò che gli conviene dall’Ue. Dunque, la solidarietà deve essere la base comune, e se non arriviamo a questo si vedrà più in là.
Anche sugli accordi con i Paesi africani per limitare i flussi migratori ci sono difficoltà, sebbene tutti siano d’accordo sulla necessità di limitare gli arrivi. È una questione di fondi per finanziare queste intese?
C’è stato il Summit di Valletta, lo scorso novembre, al quale hanno partecipato i leader dei Paesi europei e africani e nel quale sono stati presi degli accordi, si è firmato un piano d’azione che adesso dobbiamo implementare. Sono impegni già scritti, vanno solo attuati, e a febbraio faremo un incontro di alto livello per verificare a che punto è l’implementazione. Abbiamo preso anche degli impegni economici per finanziare quel piano. Magari serviranno anche più soldi dal budget dell’Unione europea, per assicurare che tutti gli impegni vengano rispettati, ma bisogna iniziare ad attuare il piano d’azione siglato già a novembre scorso.
Il processo per la Brexit e le elezioni politiche che ci saranno nel 2017 in diversi Paesi membri bloccheranno per un altro anno l’avanzamento dell’integrazione europea?
Con la Brexit qualche problema ci sarà. Dovremo concentrarci su questo quando sarà attivato l’articolo 50. Ma in parallelo dovremo portare avanti la discussione sul rilancio dell’Unione europea. Bisognerebbe lavorare di più per essere uniti e riscoprire quali sono i valori che ci uniscono.
Il Consiglio Affari interni, di cui fa parte, è la formazione su cui forse pesa di più il freno del Regno Unito all’integrazione. Anche se lei ha sottolineato come Londra voglia mantenere una collaborazione sulla sicurezza e la difesa comune, i britannici sono tra i più restii sulla proposta di unificare le forze.
Sul mettere insieme le forze non siamo ancora molti i Paesi che vogliono andare in questa direzione. Lavorare insieme e collaborare insieme è raccomandabile, e dobbiamo tenere conto che le dichiarazioni del Regno unito vanno in direzione di una maggiore collaborazione sulla sicurezza e sulla difesa. Dovremo trovare le forme per questa collaborazione. Sull’immigrazione, è vero, nel Consiglio degli Affari interni il Regno Unito ha sempre avuto una posizione un po’ distinta, non ha partecipato alle decisioni che abbiamo preso sui ricollocamenti (dei rifugiati, ndr), ha un suo programma diverso.