Il problema del “no” della Vallonia al Ceta è molto più grande di quello che potrebbe sembrare a prima vista. In gioco non c’è solo un’intesa commerciale importante, e forse anche la credibilità dell’Unione europea sul piano internazionale, e pure la capacità di negoziare un accordo per la Brexit.
No, in gioco c’è il funzionamento democratico stesso dell’Unione, e la rappresentatività dei membri della Commissione europea, che agisce in nome dei governi, e dunque dei cittadini. Recenti esempi, come il referendum Brexit o quello, mono noto, olandese contro in Trattato commerciale con l’Ucraina o anche, in fondo, quello perso dal leader ungherese Victor Orban dimostrano quanto poco la classe politica (o per lo meno grandi parti di essa) conoscano le posizioni dei loro cittadini. Sono stati tutti referendum che i governi hanno perso. Senza scendere nel dettaglio del singolo voto, questi governi hanno visto i cittadini respingere o per lo meno non approvare le loro posizioni. E questo sta capitando con una frequenza imbarazzante: sempre.
Ora il Parlamento della piccola Vallonia, con i suoi poco più di quattro milioni di abitanti, ha deciso di fermare l’accordo commerciale con il Canada, almeno fino a che non si riterrà soddisfatto su alcuni punti. Potrebbe essere un nuovo caso di politiche che non capiscono i cittadini, ma è difficile crederlo, visto l’ampio movimento popolare che sta contestando Ceta e Ttip, l’accordo commerciale con gli Usa. Tendiamo di più a credere che questa volta la politica abbia intercettato una posizione dei cittadini, e, con quasi quaranta Parlamenti in Europa che si confrontano con un tale movimento di contestazione era forse inevitabile che qualcuno condividesse le posizioni dei contestatori.
E’ toccato ai valloni. E la Commissione europea, a quanto si apprende, sta facendo enormi pressioni sul presidente della Vallonia Paul Magnette, un qualificato professore di diritto comunitario, tra l’altro, e che dunque sa bene di cosa parla, perché spinga i deputati della regione federata del Belgio a dare il via libera, possibilmente entro venerdì, quando il Consiglio europeo vorrebbe dare l’approvazione definitiva all’accordo. Questa sorta di novello Asterix (i galli abitavano anche questa regione, ed al loro capo scomparso dopo un’epica battaglia contro Giulio Cesare, Ambiorix, è dedicata la piazza forse più grande di Bruxelles) si sta battendo da solo, ed ha già detto che per venerdì non è cosa, serve più tempo per far per bene quel che serve, e comunque non è affatto detto che alla fine i valloni dicano “sì”.
Il problema è questo: se si è deciso che i Parlamenti devono votare su questo accordo allora il voto dei Parlamenti deve contare qualcosa, non ci si può aspettare che si limitino ad una semplice ratifica. I deputati non sono dei notai. Qui concordiamo che i Trattati internazionali (così come prevede anche la Costituzione italiana) non debbano essere sottoposti a referendum popolari perché si tratta di materie molto complesse, dai mille risvolti, che i cittadini non possono apprezzare nella loro interezza, anche perché chi (politico) farebbe campagna per una parte o per l’altra non potrebbe pubblicamente affermare le sue ragioni (magari assolutamente positive). Ma qui è un Parlamento che si è espresso, e lo ha fatto perché “l’Europa” ha detto che doveva farlo. Forse a sbagliare è stato chi ha negoziato questo trattato senza coinvolgere prima i Parlamenti? Forse ha sbagliato chi ha negoziato in segreto? Certo, è vero anche che se si è deciso di trasferire ad un livello superiore, comunitario, alcune competenze (ed in questo caso, di un accordo commerciale internazionale, certo insieme, a 28, si negozia con più forza che in 28 separati) poi bisogna accettarne anche le conseguenze, e qualche Paese, o Regione, può avere qualche riserva qui è là, ma poi compensa con un futuro accordo su altro.
Se però si decide che i Parlamenti hanno il diritto di esprimersi, e in questo caso di farsi anche portavoce di tante persone in tutta Europa, allora la risposta non può essere “perdiamo di credibilità”; la perderai tu che hai negoziato male, forse, ma non la perde di certo il processo democratico europeo, e dunque la risposta deve invece essere: “Ok, non vi sta bene, sediamoci a un tavolo, con tutta la calma che serve, e spiegateci perché. Noi vi spiegheremo le nostre ragioni e se non vi basteranno siamo pronti a riaprire il negoziato”.