Bruxelles – “Abbiamo bisogno di empatia nelle amministrazioni, perché fuggiamo da un inferno di guerra e ci troviamo di fronte a un inferno amministrativo”. Sono parole di un rifugiato palestinese, non pronunciate da lui, ma che sono arrivate a Bruxelles attraverso la consigliera del Comune spagnolo di Badalona Fatima Taleb.
Cosa unisce la Palestina alla Spagna? Un movimento di persone che nella corso dei secoli si è sempre spostato in varie parti del mondo. Nel ’38 gli spagnoli che fuggivano dalla guerra civile, oggi palestinesi, siriani, afghani ed eritrei fuggono da conflitti, dittature e povertà.
Il legame tra un piccolo comune spagnolo e il grande tema dell’immigrazione e della crisi umanitaria sono i tanti sindaci di piccoli e grandi comuni, città europee che sono in prima fila nell’accoglienza dei rifugiati. 160 persone da 19 città di 13 Paesi europei, inclusi 12 sindaci, si sono incontrate al Parlamento europeo durante l’iniziativa del partito di sinistra europeo Gue: Solidacities”.
Mentre l’Europa rafforza il sistema della difesa e del controllo delle frontiere, chiudendo le porte, molti sindaci europei hanno deciso di aprire le porte ai rifugiati. “Il 70% delle domande di asilo l’anno scorso in Spagna sono state rifiutate, ha spiegato il sindaco di Pamplona Joseba Asirón, Abbiamo chiesto all’Europa di aprire le frontiere esterne e interne, una deroga a una vergognosa legge di gestione rifugiati con i paesi terzi e all’accordo tra Unione europea con la Turchia”.
Secondo un altro sindaco ‘solidale’ Joan Robó, primo cittadino di Valencia in Spagna, “l’accordo con la Turchia è un calcio a tutto ciò in cui crediamo e noi vogliamo una nuova Europa, in cui i leaders siano all’altezza dei valori democratici”.
Ci sono luoghi che sono in prima linea e devono necessariamente affrontare la questione dei rifugiati e altri che invece scelgono come dovere quello di accogliere anche se non sono sul fronte. David Llistar del Comune di Barcellona ha raccontato l’esperienza locale in cui la solidarietà è nata senza che la città fosse coinvolta direttamente nel problema migratorio. “Non sto parlando di Lampedusa, né di un posto in cui c’è un grande flusso di migranti”, ha detto Llistar, “ma collaboriamo con le città che accolgono i profughi”.
Il progetto di distribuire i rifugiati in Europa è prima di tutto un progetto istituzionale, legato alla politica del ricollocamento del 2015 che prevedeva la redistribuzione di 160 mila persone in 23 stati. Eppure a un anno di distanza solo 5.600 sono stati ricollocati, 4.600 provenienti dalla Grecia e 1.200 dall’Italia. “Un meccanismo che sparirà,” secondo Llistar, “A Bratislava si è parlato di ‘solidarietà flessibile’, cioè ‘solidarietà fino a quando e se ci conviene”.
Chi invece non ha scelta nel decidere di accogliere o meno sono le città sul fronte dell’emergenza dei rifugiati come Lesbo, l’isola greca in cui nell’ultimo anno sono passati 850 mila profughi, dieci volte in più della popolazione dell’isola e in un luogo centro della crisi economica. “Sappiamo che molti li considerano un problema. Il problema non sono le persone, ma le politiche europee e chi sfrutta il loro desiderio di pace”: ha detto il sindaco di origini siriane dell’isola Spiros Galinos. Come ha ricordato il sindaco siriano non è possibile che piccoli Paesi come la Grecia in crisi abbiano “tutta la responsabilità sulle proprie spalle, come succede spesso l’Europa e lo stato hanno voltato le spalle”.
Eppure non è detto che un luogo afflitto alla crisi economica non possa pensare anche all’accoglienza, anzi l’Italia dimostra il contrario. Alcuni comuni del Sud Italia vittime dello spopolamento oggi hanno cambiato il loro destino di abbandono in quello del ripopolamento e della ripresa economica grazie all’indotto dell’accoglienza dei rifugiati. Hanno seguito il modello di Riace, comune calabrese noto per essere rinato accogliendo rifugiati, due sindaci di piccoli borghi della regione: Camini (Reggio Calabria) con 752 abitanti, che attualmente ospita 90 rifugiati, e Acquaformosa (Cosenza), con 1122 persone residenti che ospita oltre 100 richiedenti asilo, di cui 24 minori non accompagnati. Circa 20% dei minori non accompagnati presenti in Italia sono ospitati in Calabria, che accoglie in tutto 400 persone.
I sindaci dei due paesi, Giovanni Manoccio di Acquaformosa e Giuseppe Alfarano di Camini, sono venuti a Bruxelles per testimoniare che si può essere umani senza perdere le elezioni come ha ricordato il Sindaco Manoccio secondo cui “bisogna sfatare il mito per cui chi gestisce l’accoglienza perde le elezioni, da noi non è successo anzi il consenso è aumentato”. L’obiettivo non è solo cambiare il destino di questi paesi, ma anche costruire speranza. “Costruire una speranza non solo di accoglienza”, ha precisato il Sindaco di Camini, “ma anche un futuro per i giovani, affinché Camini non sia più un posto fantasma”.
“Non dobbiamo passare alla Storia come i politici e amministratori che hanno chiuso gli occhi di fronte a questo genocidio” ha aggiunto il Sindaco della città spagnola di Pamplona Joseba Asirón.