di Ashoka Mody
Il voto sulla Brexit ha innescato un rapido deflusso di fondi speculativi che avevano investito nel settore privato – e questo deflusso ha causato un deprezzamento della sterlina britannica, in precedenza molto sopravvalutata.
E così, senza che nessuno se lo aspettasse, la Brexit ha fatto sgonfiare la bolla finanziario-immobiliare e, al tempo stesso, ha favorito la parte di economia britannica più orientata alle imprese produttive. Contrariamente alla narrativa dominante, il deprezzamento della sterlina è una buona notizia.
Secondo la narrativa dominante, il deprezzamento della sterlina sarebbe un avvertimento preliminare del fatto che la Brexit finirà male.
Essa segnala, dice qualcuno, che gli investitori hanno perso fiducia nei confronti della Gran Bretagna per il fatto che essa commercerà di meno con l’Unione Europea e perciò in futuro sarà più povera. Altri insistono sul fatto che la caduta del valore della sterlina renderà di per sé i cittadini britannici più poveri, per il fatto che potranno comprare meno valuta straniera e perciò meno beni e servizi dall’estero. I vacanzieri britannici, dice l’ex vicegovernatore della Banca d’Inghilterra, Rupert Pennant-Rea, saranno i primi a sentire lo shock di una sterlina più debole.
Quelli che hanno una visione più positiva della Brexit guardano al veloce recupero dei mercati azionari. L’indice FTSE 100, che include le grandi multinazionali, è ben al di sopra dei livelli pre-Brexit. L’indice FTSE 250, basato su aziende a media capitalizzazione che guadagnano metà dei propri profitti dal mercato interno britannico è anch’esso chiaramente al di sopra dei livelli pre-Brexit. Perfino l’indice FTSE “locale”, che include le aziende che derivano il 70 percento o più dei propri profitti dal mercato di beni e servizi britannico è ora del 15 percento superiore rispetto al minimo post-Brexit, e comunque entro il 5 percento di differenza dal proprio livello medio pre-Brexit.
Cosa sta succedendo? Uno sguardo attento agli indicatori di mercato suggerisce che, lungi dall’essere il disastro che era stato prospettato, la Brexit potrebbe rivelarsi una manna dal cielo. Lo sguardo d’insieme degli indicatori di mercato dice “pollice in su” per la Brexit:
Per capire come la Brexit abbia portato un inatteso dividendo, dobbiamo concentrarci sulla sorprendente concordanza tra il valore della sterlina e i prezzi delle proprietà. Ogni volta che la sterlina ha subìto un rapido calo, sono calati anche i prezzi delle proprietà. Ora che il valore della sterlina è ben al di sotto dei suoi livelli pre-Brexit, lo sono anche le previsioni sui valori delle proprietà. Nei giorni dopo la Brexit, l’unico vero rischio di una crisi finanziaria più ampia veniva dal frenetico ritiro dei fondi immobiliari.
Il quadro d’insieme dei mercati finanziari vi dice quanto segue: la Gran Bretagna all’interno dell’Unione europea era diventata un magnete che attirava i capitali finanziari speculativi internazionali. Dato il ruolo impareggiabile di Londra come porta d’accesso finanziaria verso l’Europa, nella capitale e nei comuni limitrofi si era verificata una frenetica corsa speculativa ad acquistare proprietà. Le banche britanniche canalizzavano i capitali speculativi dall’estero, e la bolla finanziaria-immobiliare era diventata una caratteristica fondamentale dell’economia britannica. Credendo che la bolla fosse lì per restare, perfino gli oligarchi russi e i miliardari indiani pensavano che questa follia fosse un investimento sicuro.
Silenziosamente ma pericolosamente, la bolla speculativa aveva fatto elevare il valore della sterlina, rendendo la moneta britannica sopravvalutata per tutti gli altri settori dell’economia britannica. La Gran Bretagna, letteralmente, stava vivendo coi giorni contati.
È vero che con una sterlina sopravvalutata i cittadini britannici potevano acquistare beni e servizi dall’estero a un prezzo minore. Tuttavia i produttori britannici perdevano competitività sia sul mercato interno che su quello estero. Gli incentivi a investire, per i produttori, diventavano dunque sempre più scarsi, portando a un declino nella produttività della Gran Bretagna. E questo a sua volta ha portato a un ampio deficit nelle partite correnti.
Da un punto di vista puramente aritmetico, i cittadini britannici non erano affatto più ricchi prima della Brexit. Al contrario, prima stavano vivendo al di sopra dei propri mezzi. Le persone potevano usare la forza della sterlina per acquistare vacanze a un prezzo più basso, ma come paese la Gran Bretagna stava spendendo più di quanto producesse e in questo processo si stava indebitando con il resto del mondo.
Il debito estero britannico aveva raggiunto il 300 percento del PIL alla fine del 2014. Circa due terzi di esso era debito a breve termine – cioè debito che poteva fuggire rapidamente, come effettivamente ha fatto.
L’FMI, che svolge questi calcoli, il 24 febbraio 2016 aveva riportato che la sterlina britannica era “sopravvalutata” probabilmente del 15 percento, mentre nel 2011 era in linea con il valore reale.
Questa situazione stava peggiorando di giorno in giorno. La valutazione dell’FMI quasi sicuramente sottostimava il problema. Data la sensibilità di un valore che specifica l’entità della sopravvalutazione, ufficialmente l’incentivo è quello a tenerlo il più basso possibile. Al momento della Brexit, la sterlina era in realtà sopravvalutata tra il 20 e il 25 percento.
Per questo la sensazione che i cittadini britannici fossero più ricchi grazie a una sterlina più forte era solo un’illusione. Nella misura in cui la bolla finanziaria-immobiliare stava gettando il seme di una crisi finanziaria, la Gran Bretagna stava vivendo in una pericolosa illusione.
La Brexit ha fortuitamente corretto questa lunga distorsione dell’economia britannica. Si può ora capire perché gli indici azionari siano in salita. Il deprezzamento della sterlina ha corretto la precedente sopravvalutazione, migliorando le prospettive di crescita dei produttori nel mercato interno. Gli indici del mercato azionario probabilmente sottovalutano il miglioramento delle prospettive, perché su tutti loro, e specialmente sull’indice “locale”, pesa negativamente la scarsa prospettiva per le aziende interne di tipo immobiliare.
La possibile fuga di banche e imprese finanziarie dalla Gran Bretagna dovrebbe essere motivo di festeggiamento e non di ansia. Il complesso bancario-immobiliare è stato un parassita per l’economia britannica, ha creato le patologie della vulnerabilità finanziaria e della sopravvalutazione del tasso di cambio.
La Banca d’Inghilterra è tre volte colpevole. Invece di pizzicare la bolla, il governatore Mark Carney ha celebrato il boom finanziario. Nell’ottobre 2013 disse che stava preparando la Gran Bretagna ad avere un settore finanziario che «potesse superare di nove volte il PIL». Commentando l’idea di Carney, Martin Wolf sul Financial Times ammoniva: «Il settore bancario britannico è una macchina fortemente interconnessa la cui principale attività sta sfruttando gli asset delle proprietà immobiliari». Wolf notava che solo l’1,4 percento dei prestiti bancari avveniva a favore del settore manifatturiero. L’espansione del settore finanziario ha promosso solamente la crescita di se stesso, scriveva Wolf. Peggio ancora, questa espansione ha esacerbato «la fragilità dell’economia britannica, indotta dal debito».
Ma la Banca d’Inghilterra non è sembrata capace di agire abbastanza in fretta. Un altro recente report dell’FMI ci spiega che i prestiti fatti per gli acquisti finalizzati agli affitti di case e proprietà commerciali sono cresciuti a un ritmo pericoloso.
Carney, inoltre, ha fatto della discesa della sterlina l’emblema del costo della Brexit, e nel farlo ha praticamente creato un panico da “profezia che si autoavvera”. Nelle settimane prima della Brexit e in quelle successive la sua preoccupazione per il tasso di cambio ha catalizzato quella narrazione che è stata poi adottata acriticamente da media finanziari e commentatori vari.
Dopo la Brexit, i rulli di tamburo di Carney sulla necessità di proteggere l’economia attraverso minori tassi di interesse e quantitative easing erano evidentemente malaccorti. Hanno sostanzialmente fomentato la paura e fornito ben poco aiuto ai produttori in difficoltà. La politica monetaria accomodante ha, comunque, impedito che la bolla speculativa si sgonfiasse più rapidamente.
Le implicazioni politiche sono ineludibili. Il collegamento tra un ampio e crescente settore finanziario e la sterlina forte ha fatto l’interesse di pochi eletti che vivevano a Londra e nei dintorni. Gli unici che hanno davvero perso dal deprezzamento della sterlina sono stati quelli che avevano preso a prestito dollari a breve termine per investirli in proprietà immobiliari [londinesi] a lungo termine.
Questa “élite” continua a tenersi stretti i microfoni della politica, e le sue parole riverberano nella stampa finanziaria. In tutti questi anni, però, la sterlina forte ha danneggiato la creazione di posti di lavoro e gli investimenti per la crescita della produttività. Coloro che venivano danneggiati non vivevano a Londra e non tenevano quei microfoni.
Se ci sono stati molti fattori che hanno portato al voto sulla Brexit, non potete sbagliarvi, molte persone stavano protestando per essere state lasciate fuori dal tavolo dove ci si spartiva la torta economica.
Se la sterlina è sopravvalutata di circa il 20 per cento, allora tutto questo parlare per qualche punto percentuale di dazi in più dopo l’uscita dall’Unione europea è davvero fuori luogo.
La sterlina si è deprezzata di circa il 15 per cento dopo la Brexit. Deve ancora deprezzarsi del 5, forse del 10 per cento, prima di stabilizzarsi ad un tasso di cambio attorno a 1,1 dollari per sterlina.
Anziché imporre dei costi a lungo termine la Brexit potrebbe dunque, tramite il riallineamento del valore della sterlina, aiutare ad accrescere il commercio e la produttività britannica.
E se l’intento del primo ministro Theresa May di fare più investimenti nell’istruzione avrà davvero seguito, la Brexit potrebbe spezzare la passata situazione politica di stallo e ridirigere l’economia verso un percorso più sano e sostenibile.
Pubblicato sull’Independent l’11 ottobre 2016. Traduzione di Voci dall’Estero rivista da Thomas Fazi.