Bruxelles – Le elezioni europee del 2014 hanno segnato una novità per il processo democratico nell’Ue. Per la prima volta, le famiglie politiche continentali hanno indicato un proprio candidato alla guida della Commissione e, sulla base del risultato delle urne, il Consiglio ha designato Jean Claude Juncker, candidato del partito con più seggi a Strasburgo, il Ppe, alla presidenza dell’esecutivo comunitario. Un fatto nuovo, quello di legare la nomina al risultato elettorale, salutato trasversalmente come un elemento di maggiore democraticità, anche se recentemente i governi dei 28 si sono espressi contro una norma che imponga questa pratica. Nulla in contrario a ripetere l’esperienza, dicono, ma formalizzarla richiederebbe di cambiare i trattati.
Iniziata la legislatura con questa importante novità, Juncker ha dichiarato nel suo discorso programmatico di voler compiere ulteriori passi per avvicinare le istituzioni ai cittadini. Impegno ribadito nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2016, in cui ha espresso la convinzione che “una Commissione politica ascolta il Parlamento europeo, tutti gli Stati membri e i cittadini, ed è proprio l’ascolto – ha proseguito il capo dell’esecutivo europeo – che ha spinto la mia Commissione a ritirare 100 proposte nei primi due anni di mandato, a presentare l’80% di iniziative in meno rispetto ai 5 anni precedenti e ad avviare un riesame approfondito di tutta la legislazione vigente”.
L’intenzione è di concentrarsi “sugli ambiti in cui l’Europa può fornire un reale valore aggiunto e garantire risultati”. È questa la filosofia delle azioni incluse nel ‘cambiamento democratico’, una delle dieci priorità della Commissione. A occuparsene è il primo vicepresidente, Frans Timmermans. Tra gli obbiettivi dichiarati dall’esecutivo Ue per questa priorità: creare un registro obbligatorio di chi fa lobbing presso le istituzioni europee; migliorare il processo legislativo; ridurre la complessità della normativa vigente.
Riguardo all’attività dei lobbisti, già nel 2008 la Commissione allora presieduta da Manuel Barroso creò un Registro dei rappresentanti di interessi. Nel 2011 fu ampliato diventando il Registro per la trasparenza e, lo scorso anno, fu oggetto di un ulteriore modifica che ne ha prodotto la versione attuale. Il primo marzo scorso è stata lanciata una consultazione pubblica per valutare ulteriori miglioramenti da apportare, nell’ottica di una evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti che valga per la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europei. Bisogna “stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l’elaborazione delle politiche dell’Unione europea”, ha dichiarato Timmermans nell’annunciare l’avvio della consultazione che si è chiusa il 31 maggio scorso e che costituirà la base della proposta di modifica del registro che la Commissione presenterà nel 2017.
La parte più corposa del ‘cambiamento democratico’ promosso dall’esecutivo Juncker riguarda però la cooperazione tra istituzioni Ue, e tra queste e quelle nazionali, per la riduzione della complessità normativa e il miglioramento dell’azione legislativa. È con l’agenda ‘Legiferare meglio’ (in inglese ‘better regulation’), presentata il 19 maggio 2015, che la Commissione ha delineato le azioni su questa strada. Un percorso lungo il quale, il 16 aprile scorso, si è già arrivati alla sottoscrizione dell’Accordo interistituzionale per legiferare meglio, entrato subito in vigore.
Tra i principi della ‘better regulation’ – che pure è stata accolta da non poche critiche, e perfino dall’accusa di essere “un attentato alla democrazia” – vi è una maggiore cooperazione tra Commissione, Parlamento e Consiglio. Un lavoro congiunto che inizia già dalla definizione della tabella di marcia dell’iter legislativo. Il programma di lavoro dell’esecutivo comunitario, annuale e pluriennale, viene infatti definito sulla base di un confronto tra le tre istituzioni, in modo da coordinarne i tempi e accelerare la creazione di nuove norme.
Attenendosi ai principi della better regulation, anche per il 2017 il programma di lavoro della Commissione continuerà a concentrarsi su un numero limitato di iniziative, prevederà il ritiro di alcune proposte legislative e darà seguito alle prime proposte della piattaforma Refit per la revisione della normativa esistente.
Altro punto cardine è la partecipazione di cittadini e portatori di interessi (stakeholders) al processo di definizione degli atti legislativi europei. Lo strumento è quello delle consultazioni pubbliche. Non è una novità. Sono previste dall’articolo 11 e dal protocollo n. 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ma l’attuale esecutivo comunitario ha l’intenzione di utilizzarle sempre più nel corso dell’intero iter, a partire dalla pubblicazione delle tabelle di marcia dei provvedimenti e delle valutazioni iniziali sul loro impatto, per finire con il momento della valutazione e verifica dell’efficacia.
Riguardo all’analisi preventiva, dal primo luglio dello scorso anno il Comitato per la valutazione di impatto è stato sostituito, con decisione del presidente Juncker, dal Comitato per il controllo normativo, il cui parere accompagna il progetto di iniziativa legislativa della Commissione lungo tutto il suo percorso. Il Comitato interviene anche nella fase di verifica della normativa in vigore.
Anche quest’ultimo è un passaggio su cui la Commissione ha voluto introdurre delle novità. Lo ha fatto con il programma per il controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione europea. Si chiama Refit ed è stato stabilito con una decisione della Commissione del 19 maggio 2015, anche se l’idea era nata nel 2012 sotto la guida Barroso. Il meccanismo si basa su una piattaforma dove cittadini e stakeholders possono inviare segnalazioni e suggerimenti compilando un form online. Gli input verranno valutati da un gruppo di esperti di alto livello, la cui composizione prevede la presenza di rappresentanti delle imprese, della società civile, delle parti sociali, del Comitato economico e sociale (Cese), del Comitato delle Regioni e di ognuno degli Stati membri. La presidenza è affidata al vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans.
Al di là di quanto fin qui descritto, molto altro sta bollendo in pentola, a partire dal Rapporto dei cinque presidenti sulla nuova governance della Zona euro, e dal dibattito promosso con insistenza dal governo italiano per arrivare al 25 marzo 2017 – data del 60° anniversario dei Trattati di Roma, considerati l’atto fondativo dell’attuale Unione europea – con delle proposte concrete su come modificare le regole di funzionamento dell’Ue. Una discussione alimentata anche dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha presentato a Bruxelles un documento per il federalismo europeo, sottoscritto da oltre una decina di suoi colleghi di altri Stati membri, e ha lanciato una consultazione pubblica sul futuro dell’Ue e la proposta di una legge elettorale europea con liste transnazionali.
Il percorso che prevede modifiche ai trattati promette però di essere lungo e complesso, come mostrano le divergenze registrate, ad esempio, sulla proposta di istituire un ministro delle Finanze europeo. Figura che alcuni, Germania in testa, vorrebbero come controllore dei bilanci nazionali, mentre altri, tra cui l’Italia, vorrebbero affidargli risorse proprie dell’Ue per sostenere politiche di crescita economica. In ogni caso, stiamo parlando di idee e proposte ancora in fase embrionale, mentre il percorso di ‘cambiamento democratico’ proposto dalla Commissione è già in stato avanzato, e ha vita più agevole perché non implica modifiche ai trattati.