di Sergio Farris
Dopo il confronto televisivo sulla riforma costituzionale fra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, su molti giornali è stato sostenuto che il primo avrebbe prevalso sul secondo. Ma, occorre chiedersi, in base a quali parametri e a quali contenuti? Se si considera quale parametro l’efficacia nella pronuncia di slogan dalla presa immediata, è senz’altro vero che Renzi ha prevalso. Resta però una certa nebulosità riguardo ai contenuti. Non è stabilito che, anche sotto tale aspetto, il presidente del Consiglio abbia avuto la meglio.
Quello che in realtà nell’occasione è emerso, è una netta distanza fra due “concezioni” del significato da attribuire alla riforma. Lo stesso Zagrebelsky ha in proposito dichiarato: «È risultata chiara la distanza, non il fatto che si abbiano idee diverse sui problemi, ma la distanza culturale da cui si guardano i nostri problemi».
Abbiamo, come detto, da un lato sentito la declamazione di slogan improntati a una sorta di millenarismo (in più, fatti risaltare per contrasto da toni quali «se non si approva questa riforma vi sarà sempre la palude») e, dall’altro, la descrizione di criticità legate alla disfunzionalità delle istituzioni che la riforma genererebbe, nonché il richiamo a una degenerazione oligarchica del potere renziano.
Secondo Eugenio Scalfari, l’insuccesso di Zagrebelsky sarebbe dipeso dalla infondatezza del suo richiamo a un approdo oligarchico al quale il paese verrebbe condotto per effetto della riforma. Data l’influenza che, in forza del suo prestigio, Scalfari è potenzialmente in grado di esercitare, è opportuno soffermarsi sull’opinione del fondatore di Repubblica. Sostiene questi che «l’oligarchia è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono salvo la cosiddetta democrazia diretta, che si esprime attraverso il referendum» (pessimo sistema è la democrazia diretta), e che «l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche». Argomenta la tesi portando ad esempio recente la classe dirigente dei partiti di massa durante la cosiddetta “prima repubblica”, per conchiudere che «oligarchia e democrazia sono la stessa cosa» e, dunque, Zagrebelsky sbaglierebbe quando dice che Renzi non gli piace perché è oligarchico. Inoltre, dall’angolatura visuale di Scalfari, Renzi oligarchico ancora non è, per cui il decano del giornalismo italiano spera che il Presidente del Consiglio si circondi presto di una classe dirigente. L’oligarchia verrebbe così a compimento e ciò non sarebbe certo un male.
Tuttavia, è evidente che a Scalfari sfugge completamente l’accezione di oligarchia sottintesa da Zagrebelsky.
Perchè qui sta il punto: ciò che rileva non è tanto, come inteso da Scalfari, il fatto che debba necessariamente sussistere un numero limitato di soggetti (oligarchia=governo di pochi) investiti del potere di assumere le decisioni di interesse della collettività; ciò che conta è il grado di rappresentanza che tali soggetti sono in grado di impersonare nonchè la qualità delle decisioni che essi assumono e, di conseguenza, il ventaglio di interessi che con tali decisioni possono essere promossi, privilegiati o tutelati.
Le classi dirigenti dei partiti di massa come la DC e il PCI, portate ad esempio da Scalfari, potevano contare su una legittimazione proveniente dalla propria base, costituita da persone partecipi e da militanti impegnati nella vita del partito. Vi era quindi un “surplus” di democrazia, non limitata alla fase elettorale. Dunque, momento di partecipazione della base e momento elettorale.
Oggi, nell’era dell’astensione, del disimpegno e dei partiti “liquidi”, non è più così. Siamo di fronte a una deriva “leaderistica”. Nè le primarie di partito possono essere considerate un momento di ricostituzione della smarrita simbiosi fra un “leader” e la base popolare che dovrebbe formare l’humus di un movimento politico.
In questo quadro va a cadere la riforma Renzi-Boschi. Se, come è evidente dal dettato della riforma costituzionale, verrà depotenziato il ruolo del Parlamento e, unitamente alla nuova legge elettorale, verrà menomato persino il ruolo di partecipazione dei cittadini al processo di selezione dei propri rappresentanti, Zagrebelsky ha tutte le ragioni di denunciare una degenerazione oligarchica del potere.
Affinchè si abbia una democrazia compiuta non è sufficiente che un gruppo di soggetti sia deputato alle cariche decisionali (seppure al culmine di un procedimento elettorale), ma conta soprattutto la loro rappresentanza effettiva.
Durante il dibattito Renzi continuava a sollecitare, da parte di Zagrebelsky, la menzione di un articolo della riforma dispositivo di un potere abnorme in capo al governo, al che il costituzionalista continuava a replicare che occorre avere riguardo non solo al dettato testuale della riforma, bensì al contesto generale nel quale le istituzioni si trovano ad operare. Conta il sistema elettorale (che nel caso dell’Italicum conferisce a una minoranza un premio di maggioranza) e contano i contrappesi al potere, intesi come diritto dell’opposizione di poter esercitare una funzione di controllo e bilanciamento rispetto al potere conferito alla maggioranza politica del momento. E conta, aggiunge il sottoscritto, il modo con il quale è organizzata l’informazione, dalla quale deriva il consenso.
Attenendosi alla definizione di oligarchia sostenuta da Scalfari, identificata in una classe dirigente al potere, si corre inoltre il rischio di perdere di vista gli interessi sociali dei quali tale classe dirigente vuole farsi esponente.
Una cosa è un gruppo dirigente che approva il “Jobs Act”, un pacchetto di provvedimenti che riserva un potere sbilanciato a favore di una minoranza di soggetti (le imprese), un’altra è un gruppo dirigente come quello che approvò lo “statuto dei lavoratori” introducendo la democrazia nei luoghi di lavoro, cioè un provvedimento a beneficio della maggioranza dei cittadini (i non possidenti). Non è proprio la stessa cosa, perchè nel primo caso si va a costituire un gruppo dirigente separato, anche “sentimentalmente”, rispetto alla maggioranza del paese. Si tratta, appunto, di un’oligarchia.
No, caro Scalfari, democrazia e oligarchia non sono la stessa cosa. La democrazia non si risolve nel solo momento elettorale (ormai sempre più ridotto a un rito sterile), ma nella partecipazione costante ed effettiva (sebbene tramite i propri rappresentanti) dei cittadini ai processi decisionali ed alla funzione di controllo del governo della “res publica”. Diversamente, ci si trova in un regime oligarchico. E la riforma costituzionale sulla quale siamo chiamati a esprimerci ne reca tutti i sintomi.