Bruxelles – Tornano in strada, vestite di nero e sembra che il tempo per loro non sia mai passato. Migliaia di donne polacche sono scese sabato in piazza per riaffermare diritti riconosciuti in quasi tutti i Paesi europei ma non a Varsavia. In Polonia, dove la vita delle donne che vogliono abortire è già dura, si rischia di tornare ancora più indietro nella storia dei diritti.
Le grandi proteste degli anni ’90 avevano dato alla Polonia una legge che regolamentava l’interruzione di gravidanza, concedendo il diritto di abortire fino alla venticinquesima settimana solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, stupro o grave malformazione del feto. Un traguardo che oggi è messo in pericolo da una nuova proposta di legge.
Il testo, che ha già passato un esame parlamentare, vorrebbe ridurre ancora di più le possibilità di abortire oggi previste da una delle legislazioni in materia più restrittive d’Europa e rendere l’aborto sempre illegale tranne che in caso di immediato pericolo di morte per la donna. La pena prevista per chi violerebbe la nuova disposizione è la reclusione fino a cinque anni. Secondo alcune stime prudenti, in Polonia ci sono più aborti illegali, tra 10 e 15 mila, di quelli legali, tra mille e duemila: un segno che la legge non risponde alle esigenze delle donne.
A parte Malta e lo Stato del Vaticano, gli unici Paesi europei con leggi sull’aborto più restrittive di quelle della Polonia sono: l’Irlanda, Andorra, Liechtenstein, San Marino e l’Irlanda del Nord, in cui le leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza sono diverse rispetto a quello vigenti nelle altre parti del Regno Unito come Inghilterra, Scozia e Galles.
I due Paesi in cui le donne non possono assolutamente scegliere cosa fare della propria gravidanza sono Malta e lo Stato del Vaticano, gli unici Paesi europei in cui l’aborto è vietato in ogni caso e non è ammesso neppure nei casi in cui è a rischio la vita della madre.
In Irlanda, Liechtenstein, Irlanda del Nord, San Marino e nel Principato di Andorra l’aborto è illegale ad eccezione dei casi in cui la donna è in pericolo di vita.
In questi Paesi in cui le donne non possono praticare legalmente l’aborto se non in casi estremi, le donne ricorrono spesso a due vie di fuga: praticano aborti illegali particolarmente pericolosi per la loro vita oppure farlo in nazioni vicine in cui l’aborto è legale. Moltissime donne che provengono da Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, si recano nelle cliniche private inglesi per poter effettuare l’interruzione di gravidanza.
Nemmeno in casi estremi, come lo stupro o le malformazioni del feto, una donna irlandese può ricorrere all’aborto, nonostante nel novembre del 2015 la Corte Suprema di Belfast abbia dichiarato la legge sull’aborto una violazione dei diritti umani, chiedendo di estendere al diritto anche ai casi di stupro e serie malformazioni del feto.
Tra il 2010 e il 2014 sono state circa 25 mila le donne che sono andate in Inghilterra e nel Galles per praticare l’aborto e 60mila dal 1970, secondo una stima di Amnesty International riportata dal Guardian.
Le mete preferite dalle donne sono Manchester e Liverpool, più accessibili ed economiche per le donne che vogliono abortire senza finire in prigione. In Irlanda l’aborto, fuori dai casi previsti dalla legge, è punito con una pena fino a 14 anni di carcere e nell’Irlanda del Nord, nonostante nel Regno Unito sia legale, si rischia anche l’ergastolo.
A Malta, dove l’aborto è vietato in ogni caso, una donna che ricorre all’interruzione volontaria di gravidanza rischia dai 18 mesi ai tre anni di prigione e un ginecologo o farmacista che aiuta un’altra persona a compiere un aborto è punito con una pena che va dai 18 mesi ai 4 anni di carcere e con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione. In Polonia i dottori che praticano l’aborto fuori dai casi previsti dalla legge rischiano fino a 2 anni di carcere.
Nella Repubblica di San Marino l’aborto è illegale, tranne in caso di grave pericolo di vita per la donna, punito con il carcere e con pene che possono arrivare fino a 3 anni e dunque molte superano i confini e si recano in Italia per poter abortire.
L’aborto oggi è legale in quasi tutti i Paesi europei, sebbene esistono molte differenze tra un Paese e l’altro. Quasi tutte le nazioni europee garantiscono il ricorso all’aborto nei primi tre mesi di gravidanza e più in la nel tempo, nel secondo trimestre, solo in casi del tutto eccezionali, come in caso pericolo di vita per la madre, stupro, grave malformazione del feto o, come in Austria, se la donna ha meno di 14 anni di età. Per le donne che aspettano un bambino ma che sono minorenni, nella maggior parte dei paesi europei è necessario il consenso dei genitori per effettuare un’interruzione di gravidanza.
“Restrizioni sull’aborto sono più severe e stringenti in Paesi di fede cattolica”, secondo il progetto on line “abortion clunic.eu” del Gynmed Clinic di Vienna che monitora lo stato delle interruzioni di gravidanza in Europa. In Danimarca la legge è più liberale e permette l’aborto nel secondo trimestre di gravidanza anche per motivi socioeconomici, sebbene dietro il rilascio di una particolare autorizzazione.
Tuttavia, non sempre basta la legge per garantire un diritto. “In molti Paesi europei l’aborto non dipende tanto da cosa stabilisce la legge, piuttosto dalla diffusa considerazione che la società ha dell’aborto e che quindi porta a diverse interpretazioni della legge”, scrive “abortion clunic.eu”. Per esempio, in Italia ci sono molto differenze tra la legge e la sua applicazione. Lo strumento dell’obiezione di coscienza permette ai medici di poter rifiutare di eseguire un aborto per motivi morali e religiosi e ciò rende difficile praticare l’aborto per molte donne italiane, soprattutto a Sud dove si raggiungono percentuali pari anche all’80 per cento di medici obiettori.
Particolari restrizioni nel trattamento degli stranieri sono presenti nelle legislazioni di Danimarca, dove è concesso abortire soltanto ai cittadini, e nei Paesi Bassi, dove i non residenti devono pagare le spese mediche. Queste ultime sono generalmente a carico della donna, anche se vi sono eccezioni (Svezia, Olanda) in cui a pagare è lo Stato.