Roma – Il governo è stato “ambizioso” nell’indicare un’attesa di crescita dell’economia all’1% per il 2017. È difficile che la parte più rilevante della manovra attesa per il 15 ottobre prossimo, i 15 miliardi di euro per disattivare gli aumenti di Iva e accise, siano sufficienti a centrare l’obiettivo. Per farcela, servirà una manovra di bilancio in grado di stimolare gli investimenti, ma ancora non si conoscono abbastanza dettagli per capire se l’esecutivo sia sulla strada giusta. Questa, in estrema sintesi, l’analisi di Bankitalia sulla nota di aggiornamento al Def, il Documento di economia e finanza presentato la scorsa settimana dal governo.
Nelle audizioni che si sono susseguite ieri in Parlamento, qualche dubbio sulla crescita attesa per il prossimo anno è stato avanzato anche dalla Corte dei conti, che vede il rischio di effetti negativi derivanti da una mancata ripresa della domanda internazionale. Per l’Ufficio parlamentare di bilancio, organismo indipendente di valutazione dei conti pubblici, le perplessità sulle previsioni elaborate dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, riguardano i rapporti con Bruxelles: non è detto che la Commissione europea dia il via libera all’aumento di deficit previsto da Via XX settembre rispetto alle indicazioni di primavera. A essere in dubbio non è tanto il riconoscimento dell’eccezionalità delle spese per il sisma in Centro Italia e per l’accoglienza dei migranti – che fanno lievitare il deficit di uno 0,4% di Pil – ma la loro entità.
Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, anche dopo aver sentito queste critiche “non cambia nulla, andiamo avanti con i numeri che abbiamo approvato la scorsa settimana”. Una linea oltranzista, quella riportata dal quotidiano Repubblica, mitigata dall’atteggiamento più conciliatorio di Padoan, che nei giorni scorsi aveva ammesso un “dialogo continuo” con l’esecutivo comunitario sui conti.
È probabile che alla fine, grazie a questo gioco al poliziotto buono e poliziotto cattivo, all’Italia venga riconosciuto almeno il beneficio del dubbio. La stessa cosa avvenne lo scorso anno, con il rinvio a primavera del giudizio definitivo sulla manovra, di norma previsto a novembre. Sarebbe una decisione molto politica, visto che darebbe fiato al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per condurre una campagna referendaria – il 4 dicembre si voterà per confermare o meno la riforma costituzionale – libera dal giudizio di Bruxelles sui conti pubblici. Un ‘favore politico’ che non stupirebbe più di tanto, perché più volte è stato lo stesso Jean Claude Juncker parlare del suo come “un esecutivo politico”.
Sul tavolo delle trattative con Bruxelles, tuttavia, non è solo la legge di bilancio a ballare. C’è anche la questione irrisolta delle difficoltà del settore bancario. Un tema al quale ieri Padoan ha dedicato un “incontro di routine” con i vertici di Bankitalia, di Cassa depositi e prestiti e dei principali istituti di credito, insieme con Assobancaria e le Fondazioni di origine bancaria.
Sono due i principali dossier su cui lavorare. Il primo riuguarda la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, al quale servono circa 5 miliardi di nuovo capitale entro fine anno per evitare il fallimento. Padoan esclude ogni ipotesi di nazionalizzazione. Sarebbe l’estrema ratio da evitare in tutti i modi, per il ministro, convinto invece che alla fine “avrà successo” l’operazione di aumento di capitale.
Il secondo dossier, quello della cessione delle 4 banche salvate con il primo ricorso alla normativa sul bail-in, ha tempi più ristretti. L’operazione, dopo la proroga già concessa dalla Commissione europea, deve concretizzarsi entro un mese. Al momento, sul tappeto rimane solo l’offerta di Ubi banca, interessata però solo a Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di risparmio di Chieti. Rimarrebbe fuori la Cassa di risparmio di Ferrara, per la quale, senza acquirenti, si aprirebbe la bara della liquidazione, non senza contraccolpi politici per l’esecutivo.
“Se possiamo dare una mano al sistema (bancario, ndr) nell’interesse dei nostri azionisti, lo facciamo”, ha dichiarato il presidente del Consiglio di sorveglianza di Ubi, precisando però che “nella nostra missione non abbiamo i salvataggi”. L’istituto è disposto a intervenire, insomma, ma non senza guadagnarci, e l’aumento di capitale richiesto dalla Bce per portare a termine l’operazione rende meno allettante l’affare. Il rischio è che, con l’avvicinarsi della scadenza, il prezzo di acquisto delle 4 banche continui a scendere.