Sabato sera ho preso un Uber per andare in una birreria dalle parti del canale di Molenbeek. Mi raccoglie Samir, marocchino trentenne, un filo di barba, capelli cortissimi, giubbetto di pelle, guida svelta e un po’ sbarazzina. Fa il pelo alle macchine parcheggiate, lampeggia ai pedoni sulle strisce ma si vede che sente la sua Peugeot 207 come se ce l’avesse addosso. Chiacchieriamo, mi dichiaro italiano, lui è nato a Bruxelles ma va spesso in Marocco dove ha degli zii, subito parliamo del tempo in Belgio, non siamo mai contenti, c’è stato il sole per trentacinque giorni eppure la pioggia di stasera ci basta a maledirlo. Il Mediterraneo è un’altra cosa, concordiamo, il cielo lì sta fermo, e poi il cibo, il calore umano, sì, abbiamo le stesse abitudini, lo stesso modo di vivere, non dovremmo farci dividere dalla religione e poi tutte le religioni dicono la stessa cosa. Giusto, confermo io ecumenico, siamo tutti popoli del libro, ma non so se Samir ne abbia mai letto uno. Intanto lui accelera per infilarsi dietro un’ambulanza e scansare la fila di auto incolonnate nel traffico della sera. Infiliamo il tunnel troppo veloci, qualcuno ci suona. Lui mi rivela che sta a Molenbeek, proprio dietro la piazza. “Li conoscevo, Salah e gli altri. Una banda di idioti, colpa di un imam saudita che gli ha montato la testa, anche la polizia sapeva ma non ha mai fatto niente per fermarli e poi la stampa ci ha messo del suo, una montagna di balle, Molenbeek è un posto tranquillo, siamo gente onesta che si arrangia come può, e quando non si trova lavoro è difficile, io per fortuna che ho Uber, di giorno perdo tempo a fare corsi di riqualificazione che non servono a niente, di sera almeno ho questo lavoro”.
Fuori dal tunnel, una raffica di pioggia ci riporta alla meteo, è arrivato l’autunno, Samir non vuole diventare vecchio qui e anche a me consiglia di andare in pensione in Italia, lui la conosce l’Italia, ci è stato anche, a Bologna, solo all’aeroporto, però ha degli amici siciliani, di Molenbeek anche loro. “La pensiamo uguale noi e voi” dice Samir”. Io annuisco sospettoso. Samir supera bruscamente una macchina che indugiava con la freccia accesa e la costringe a una frenata. Clacksonata e gestacci. Ma Samir non perde il filo. “Le donne per esempio, noi come voi le trattiamo bene, con rispetto! Noi le nostre donne le proteggiamo, altro che!” Qui comincio a sentire puzza di bruciato, ma tengo la linea dell’ecumenismo: “Ma certo, e anche questo velo, cosa sarà mai! È una questione di tradizioni. Anche mia madre portava il velo quando andava in chiesa! Poi abbiamo cambiato abitudini…” concludo impacciato sperando che Samir raccolga lo spunto di ragionevolezza che gli ho appena lanciato. Ma lui no, pensa come guida e salta sul boulevard da una laterale senza neppure guardare.
“Sa cosa dico io?” incalza Samir e io già vorrei scendere: “Che una donna deve essere coperta dalla testa ai piedi, mica come qui al nord dove le mostrano mezze nude per strada, sotto gli occhi di tutti!” Ho le spalle al muro, Samir ha preso confidenza, non si nasconde più. “Perché sa, una donna è come una caramella. A lei piacerebbe una caramella tutta ciucciata, con le mosche che le volano attorno?”. Cosa devo rispondere? Dico no, la caramella ciucciata non mi va. E mi scavo la fossa. “Ecco, anche a noi le donne piacciono avvolte nella loro bella carta. Vogliamo scartarle noi, non lasciarle scoperte davanti agli altri! È una questione di rispetto!”. La strada della birreria è chiusa. Samir deve lasciarmi al bivio. Samir frena, saluta allegro: “Buona serata e grazie della compagnia!” grida prima di sgommare via. “Piacere mio…” sussurro frastornato.
E camminando sull’asfalto bagnato fra i baretti arabi pieni di uomini che fumano giocando alle carte, mi chiedo fra Samir e Salah quale sia il più pericoloso.