Roma – È positivo che finalmente il governo britannico abbia sciolto i nodi sui tempi di avvio della procedura per la Brexit, ma la scelta di presentare la richiesta formale di divorzio a marzo 2017 – in concomitanza con il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, che l’Italia vuole trasformare in occasione di rilancio dell’integrazione – appare un dispetto. La pensa così il sottosegretario per gli Affari europei, Sandro Gozi, che al primo ministro di Londra, Theresa May, risponde che “a marzo daremo priorità a come organizzare il nostro futuro europeo, certamente non dedicheremo tutta l’attenzione a chi ha deciso di lasciare l’Ue”.
Il commento di Gozi arriva a margine di una conferenza sui diritti fondamentali, alla quale hanno partecipato i suoi omologhi di Belgio, Francia, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, insieme con i rappresentanti di Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Slovacchia, Austria e Svezia, i quali in mattinata hanno avuto un incontro a palazzo Chigi sullo stesso tema. Tra i colleghi di Gozi, anche il Francese Harlem Desir ha fatto riferimento alla Brexit, sottolineando come sia “meglio evitare i referendum contro l’Unione europea, che fanno male allo spirito dell’Europa e si ritorcono contro chi li convoca”.
Nel mirino di Desir non c’è solo l’ex premier britannico David Cameron, costretto a dimettersi dopo avere indetto e perso la consultazione sulla Brexit, ma anche il primo ministro ungherese Victor Orban. Il leader magiaro, infatti, ha chiesto ai propri elettori se fossero d’accordo sulla possibilità che l’Ue stabilisca il ricollocamento dei rifugiati in Ungheria. L’obiettivo era un plebiscito contro le relocation, ma “l’affluenza alle urne è stata debole e da questo punto di vista è un fallimento“, ha dichiarato Desir. “Si può dire che Orban ha con sé una grande minoranza” di ungheresi, ha concluso Gozi.
A condannare le scelte del governo di Budapest è stata anche Emma Bonino, che intervenendo alla conferenza ha però tirato le orecchie alle istituzioni europee. Per l’ex commissaria “si poteva tranquillamente attivare l’articolo 7” dei trattati, che prevede addirittura la sospensione del voto in Consiglio per uno Stato membro in caso di rischio di violazioni gravi. Una procedura che sarebbe “l’arma atomica”, ha riconosciuto Bonino, “ma prima di arrivare all’arma atomica c’è tutta una serie di procedure” che a suo avviso avrebbero scoraggiato Orban. Se non si è intrapresa quella strada “è per mancanza di volontà politica”, ha sottolineato ancora l’ex ministro degli Esteri, indicando che “gli strumenti giuridici ci sono” per far rispettare i diritti fondamentali.
Strumenti che però si possono migliorare, secondo gli intervenuti alla conferenza. Era proprio questo l’intento della riunione di Gozi con i suoi colleghi. Dall’incontro è venuta fuori la proposta di attuare un più efficace monitoraggio sul rispetto dei diritti fondamentali nell’Ue. Invece che prendere in considerazione un singolo tema ogni anno e verificarlo in tutta l’Unione europea – soluzione che “non ci consentirà mai di anticipare le problematiche che si potranno presentare”, ha denunciato Michael O’Flaherty direttore dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali – l’idea è di esaminare lo stato dei diritti in quattro o cinque stati membri all’anno. Il focus, ha spiegato Gozi, si concentrerebbe contemporaneamente su alcuni paesi considerati a rischio, e su altri che potrebbero fare da esempio di buona pratica.