Bruxelles – Un altro referendum è alle porte in Europa e anche questo rischia di mettere a repentaglio l’unità degli Stati membri. Dopo il voto sulla Brexit nel Regno Unito, anche l’Ungheria andrà alle urne domenica 2 ottobre per dire sì o no al sistema europeo sulla redistribuzione dei rifugiati provenienti da Italia e Grecia verso altri Paesi europei, misura approvata dal Consiglio europeo per aiutare i due Stati a gestire gli ingenti flussi migratori, ma mal digerita dal governo di Viktor Orban. Il quesito a cui saranno chiamati a rispondere i cittadini ungheresi è: “Volete che l’Unione europea sia autorizzata a decidere l’insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Europa senza il consenso del parlamento ungherese?”. Perché la consultazione sia valida, occorrerà che si registri un’affluenza del 50%, cioè di circa 4 milioni di elettori, su una popolazione di quasi 10 milioni di persone.
Il piano di ricollocamento dei migranti è stato elaborato l’anno scorso dalla Commissione europea e approvato a maggioranza dal Consiglio. Entro il 2017 ogni Stato membro deve accogliere nel proprio Paese una quota di rifugiati per permettere a Italia e Grecia di alleggerire il peso dei continui flussi migratori che giungono sulle coste del Mediterraneo. I richiedenti asilo da ricollocare sono 160 mila, in Ungheria dovrebbero arrivarne in tutto solo 1.249.
Più di una volta Orban ha detto chiaramente cosa pensa della questione dei richiedenti asilo in Europa. Per il primo ministro l’Ungheria “non ha bisogno di un singolo migrante per l’economia o per il suo futuro”, aveva dichiarato a luglio, anzi meglio se i rifugiati vengono allontanati dal suolo europeo e deportati “su un’isola o una costa del Nord Africa”, ha poi ribadito lo scorso 22 settembre. Orban ha, dunque, le idee chiare e sembra avercele anche il popolo ungherese che secondo un sondaggio per il 70% è d’accordo con il governo di Budapest e non vuole accogliere migranti secondo lo schema previsto dall’Unione europea.
“Attualmente il governo del primo ministro Orban è riuscito a scrollarsi di dosso ogni critica e porta avanti un’agenda politica che può essere definita solo xenofobia istituzionalizzata”. Lo scrive in un editoriale pubblicato ieri sul New York Times a firma di Nils Muiznieks Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, aggiungendo che “il governo sta tappezzando tutto il Paese con manifesti in cui diffondono messaggi ingannevoli come quello per cui le molestie sessuali nei confronti delle donne sono notevolmente aumentate in Europa con l’inizio della crisi dei migranti”.
A poco più di un anno dalla costruzione del primo muro contro il passaggio dei migranti provenienti dalla rotta balcanica, Orban torna a chiedere di erigerne altri, come quello politico con l’Unione di cui non vuole accettare la linea sulle politiche migratorie. Era la notte tra il 14 e il 15 settembre del 2015 e un lungo filo spinato, reticolato e lunghe travi chiudevano il confine meridionale con la Serbia, lungo 175 chilometri. Iniziava da lì la battaglia ungherese contro i migranti e la pressione sull’Europa affinché sospendesse Schengen e chiudesse le sue porte. Le richieste ungheresi non sono cadute completamente inascoltate: seppur senza muri i controlli temporanei alle frontiere son stati ripristinati in diversi Paesi europei come Austria, Slovacchia e anche Germania.