Bruxelles – Silvio Berlusconi compie ottant’anni e su twitter gli auguri si sprecano, con tanto di hashtag #Berlusconi80 creato per l’occasione. Ma fuori dai confini nazionali, al di là delle frontiere linguistiche italiane, tutto questo affanno per i messaggi di rito non c’è. Perché in verità va detto che l’Europa non conserva un gran ricordo dell’ex presidente del Consiglio, che l’Ue l’ha vissuta in prima persona nove anni (non consecutivi). Esuberante, fuori dagli schemi, alla costante ricerca della frase a effetto o del colpo di scena. All’occorrenza, alzare i toni. Come al G20 di Londra del 2009, quando per richiamare il presidente degli Stati Uniti, usò toni sopra le righe. E sopra i decibel. E sua maestà la regina di Inghiletera dovette riprenderlo. “Perchè deve urlare così?”
Bucare lo schermo e far parlare di sé. Berlusconi ha cambiato il modo di fare politica, in Italia come in Europa. E per forze di cose ha finito per dividere. Soprattutto in Europa. Il “kapo’” detto a Martin Schulz davanti al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria nel giorno di insediamento della presidenza italiana di turno non è che un esempio. Era il 2003. Una vita fa, ma neanche troppo lontana. Anzi. Oggi ci sono i leader di Ungheria e Polonia a sfidare l’Ue e le sue regole, ben prima di loro c’è stato il cavaliere e il suo modo di fare. Nello stesso giorno in cui criticava Martin Schulz, Berlusconi attaccò l’intero Parlamento europeo definendo tutti gli eurodeputati “turisti della democrazia”. Gli avevano rinfacciato il conflitto di interessi, e lui rispose aprendone uno istituzionale a dodici stelle. Atto di rottura, ma tutt’altro che isolato.
L’anno prima, a febbraio, Berlusconi si era già esibito nel gesto delle corna. Spagna, riunione dei ministri degli Esteri. Il cavaliere vi partecipa avendo in quel momento l’interim (Renato Ruggiero si era dimesso a gennaio). Si fece la foto di famiglia, e il rappresentante italiano alzò il pugno con le due dita in bella mostra. Se ne parla ancora oggi. Berlusconi avrebbe poi spiegato che stava scherzando. Ma lo scherzo avvenne in un momento ufficiale, uno di quei momenti in cui è richiesta serietà e non la facezia. Fu proprio questo suo voler scherzare sempre ad essere uno dei tratti meno apprezzati di Berlusconi all’estero. Soprattutto nell’Ue. In un’Europa spesso attenta alla forma prima ancora che alla sostanza, Berlusconi rispose offrendo poco dell’una come dell’altra. Le vicissitudini interne, fatte di processi, leggi ad personam, conflitto di interessi e festini, fecero il resto. Fu proprio nell’ambito di intercettazioni telefoniche compiute nel filone d’inchiesta su i bunga bunga che vennero fuori le dichiarazioni di Berlusconi nei confronti di Angela Merkel. “Culona in…”, la definì. Lei, la cancelliera tedesca, la leader più influente e potente d’Europa, oggi come allora. Ma lui non s’è mai curato. Le aveva già fatto fare “anticamera”, anni prima. Era il 2009, era un vertice Nato. Lei in piedi, lui in disparte al telefono. Disse che parlava con il leader turco. Ad ogni modo la cosa non piacque. Piacquero ancora meno le parole “rubate” dagli inquirenti. Nella traduzione inglese (“Unf… lardass”) quell’espressione fece il giro del mondo. Ancora una volta. Era il 2011, l’anno della famosa lettera di Bruxelles e del “commissariamento” dell’Italia, dei Cdm straordinari a ferragosto e delle due manovre economiche.
L’Italia viveva allora una situazione delicata. Lo spread, la differenza di rendimento tra i buoni del tesoro nazionali e quelli tedeschi, aumentava. Vuol dire che lo Stato era sempre meno capace di rimborsare i propri titoli. Si viaggiava a vele spiegate verso il default. In una tale situazione Berlusconi suggerì agli italiani di “investire prepotentemente” nelle sue aziende. L’Europa però chiedeva ben altro. Era sempre il 2011, i partner europei pretesero riforme e misure per sistemare le finanze nazionali, e chiesero a Berlusconi di portare il piano di risanamento al vertice dei leader di ottobre. Un appuntamento cruciale, ancora oggi come il giorno in cui Berlusconi osserva il fondo schiena di Helle Thorning-Schmidt, allora premier danese. Ancora una volta comportamenti sconvenienti, per di più in contesti ufficiali. Gli ultimi. Si chiuse lì il sipario comunitario per Berlusconi, che a Bruxelles da capo di governo non tornò più. A novembre di quello stesso anno il Parlamento gli tolse la fiducia, nel 2013 la Questura di Milano gli tolse anche il passaporto, e muoversi per l’Europa divenne addirittura impossibile. E tutto senza bisogno di sospendere Schengen.
Simpatico, in Europa, Berlusconi lo è stato poco. E’ giusto dirlo. Simpatico forse lo è stato solo per un attimo, nel lontano 2004, quando Jean-Claude Juncker, allora primo ministro di Lussemburgo, gli schiaffeggiò la nuca e se ne andò, senza dargli il tempo di rendersi conto di costa stesse accadendo. Anche se, a dirla tutta, a risultar simpatico fu più il lussemburghese che l’italiano. Si capisce, quindi, se nessuno, fuori dall’Italia, si sia sentito in dovere di creare hashtag speciali o si sia affrettato a inviare messaggi d’auguri. Qualcuno dirà che è la fredda Europa degli euroburocrati. In cui Berlusconi ha creato altro gelo.