Bruxelles – Quello della giustizia e dei diritti fondamentali è uno dei dieci temi che Jean Claude Juncker ha indicato come prioritari per l’azione del suo esecutivo. Gli obiettivi dichiarati in questo ambito sono diversi: facilitare, per cittadini e imprese, il pieno esercizio dei propri diritti oltre confine, anche attraverso il mutuo riconoscimento dei documenti e degli atti legali tra i paesi Ue; contrastare il crimine organizzato come il terrorismo, il traffico di esseri umani, il contrabbando, il cybercrimine; completare l’adesione dell’Ue alla convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti umani; ottenere garanzie dagli Stati uniti sulla protezione dei dati personali dei cittadini europei; spingere per avere leggi antidiscriminazioni in tutta l’Ue.
Per la difesa dei diritti fondamentali, l’ultimo anno non è stato una passeggiata. Si è navigato tra sospensioni della libera circolazione prevista dagli accordi di Schengen, innalzamento di barriere anti-migranti, accuse di mancato rispetto dello Stato di diritto sia nell’Ue (Polonia) che al di fuori, con la repressione seguita al tentato golpe in Turchia che crea non pochi problemi etici per il mantenimento dell’accordo sui migranti tra Ue e Ankara, anch’esso fonte di critiche da parte delle ong umanitarie.
Ciononostante, il rapporto 2015 sull’attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, pubblicato a maggio scorso, segnala alcune note positive nell’azione della Commissione europea per promuovere i diritti. Tra queste, l’avanzamento di proposte legislative come quella sulla tutela dei minori nei procedimenti penali, quella sui diritti delle vittime, o ancora il pacchetto di riforma della protezione dei dati. Da segnalare inoltre la proposta avanzata per far aderire l’Ue alla Convenzione di Istambul contro la violenza sulle donne.
Riguardo al traffico di esseri umani, la Commissione ha pubblicato il 19 maggio scorso il primo rapporto sulla situazione in Europa, sintetizzato in un documento che parla di quasi 16 mila vittime nel biennio 2013-2014. Il 76% sono di sesso femminile e lo sfruttamento sessuale è la causa nel 67% dei casi, contro il 21% che è attribuibile allo sfruttamento in ambito lavorativo. Il 65% delle vittime registrate è rappresentato da cittadini europei e i 5 principali stati di provenienza sono Bulgaria, Olanda, Polonia, Romania e Ungheria. Di fronte a questi dati, la Commissione continuerà a monitorare l’attuazione dei piani nazionali contro il traffico di esseri umani, e a stimolare e assistere gli stati membri nella lotta a questo fenomeno.
Riguardo alla lotta al terrorismo e al crimine organizzato, alcune importanti iniziative sono state presentate dalla Commissione il 5 luglio scorso, con la proposta di modifica della quarta direttiva antiriciclaggio. L’intenzione dell’esecutivo comunitario è di rafforzare i poteri delle unità di informazione finanziaria dell’Ue e promuovere la loro cooperazione, arginare i rischi di finanziamento ai gruppi terroristici connessi con le monete virtuali e con gli strumenti di pagamento anonimi. Nello stesso provvedimento sono contenute misure contro l’elusione fiscale e il riciclaggio di denaro, prevedendo una totale accessibilità al pubblico dei registri dei titolari effettivi di società e trust connessi a imprese, oltre che l’interconnessione di tali registri a livello europeo.
Uno dei dossier più impegnativi per la Commissione nel corso dell’ultimo anno è stato l’accordo con gli Stati uniti sullo scambio e il trattamento dei dati personali, dopo che la bocciatura da parte della Corte di giustizia dell’Ue aveva decretato la fine della precedente intesa sul ‘safe harbour’, imponendo di trovare in tempi rapidi una soluzione. Il nuovo accordo per l’adeguamento ai rilievi dei giudici europei, battezzato come ‘privacy shield’, è stato approvato dall’esecutivo europeo il 12 luglio scorso. Per il vicepresidente con delega al Mercato unico digitale, Andrus Ansip, “proteggerà i dati personali degli europei e offrirà chiarezza alle imprese”.
Il 9 giugno scorso è stato fatto un passo importante verso quella che potremmo definire la “portabilità dei documenti” da uno Stato membro all’altro. Il Parlamento europeo ha infatti approvato il regolamento sul mutuo riconoscimento dei documenti pubblici quali atti di nascita, di morte, matrimonio, separazione, registrazione o scioglimento di un’unione civile, di assenza di precedenti penali, di pieno godimento dei diritti civili. Per questi e altri tipi documenti pubblici non ci sarà più l’obbligo di far ‘legalizzare’ il documento per dimostrarne l’autenticità nel Paese membro in cui lo si esibisce. Saranno le autorità dello Stato ricevente, in caso di dubbi fondati, a procedere a una verifica di autenticità attraverso una piattaforma informatica.
Sempre a proposito di mutuo riconoscimento in ambito giuridico, la Commissione ha lavorato a un quadro regolatorio comune in materia di regimi patrimoniali tra coniugi o tra conviventi. Uno sforzo che si è però scontrato con la resistenza di alcuni Paesi membri, particolarmente agguerrita per quelli che non prevedono unioni tra persone dello stesso sesso. Così, lo scorso marzo, per superare l’empasse si è deciso di procedere a una cooperazione rafforzata tra 17 dei 28 stati membri (non aderiscono Cipro, Danimarca, Estonia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno unito, Romania, Slovacchia, Ungheria). È la conferma che per armonizzare la giustizia e i diritti nell’Ue c’è ancora molto lavoro da fare.