Bruxelles – Il Canton Ticino, la parte di Svizzera dove si parla italiano, ha approvato con il 58% dei voti il referendum per una legge che dia preferenza ai residenti in materia di posti di lavoro, penalizzando in tal modo i “frontalieri”, in particolar modo i 60 mila italiani che ora lavorano lì.
Come spiega il sito del Corriere del Ticino, la proposta di referendum cantonale battezzata “Prima i nostri”era stata presentata dalla formazione populista Udc; la sua applicazione però – come ha avvertito lo stesso governo elvetico – si prevede tutt’altro che agevole a causa dei numerosi ostacoli legali dovuti sia alle leggi federali che regolano il mercato del lavoro che a quelle europee sulla libera circolazione delle persone e dei beni. Secondo alcuni giuristi elvetici sarebbe addirittura impossibile che queste norme entrino in vigore perché anticostituzionali. Inoltre, come ha ricordato anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, “il referendum anti-frontalieri non ha per ora effetti pratici, ma senza la libera circolazione delle persone i rapporti tra la Svizzera e l’Ue sono a rischio”, ha avvertito il titolare della Farnesina in un tweet.
Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni avverte che da oggi la Regione “predisporrà le adeguate contromisure per difendere i diritti dei nostri concittadini lavoratori”. L’europarlamentare di Forza Italia Lara Comi ha annunciato di aver scritto alla commissaria Ue al Lavoro Marianne Thyssen per chiederle di “avviare urgentemente la sospensione di tutti gli accordi ad oggi in essere tra Svizzera ed Europa”.
A Bruxelles si spiega che questo referendum “non semplifica il dialogo in corso” dal 2014, quando con un’altra consultazione popolare la Svizzera decise di porre un tetto al numero dei migranti. “Le quattro libertà fondamentali del Mercato unico (tra le quali c’è il libero movimento delle persone, ndr) sono inseparabili”, insistono a Bruxelles, dove un portavoce della Commissione spiega che “c’è ancora molto cammino da fare” nel negoziato bilaterale, il cui esito, inoltre dovrà avere non solo l’accordo della Commissione ma anche quello unanime degli Stati membri.