Roma – È il 4 dicembre la data in cui gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere se confermare o meno la riforma costituzionale approvata dal Parlamento lo scorso aprile. Lo ha stabilito oggi il Consiglio dei ministri, in una riunione lampo dopo che si è deciso di rinviare l’approvazione della nota di aggiornamento al Def (attesa per domani).
Votando Sì, come spera il presidente del Consiglio Matteo Renzi, gli elettori accoglieranno le modifiche alla Carta fondamentale. Se vincerà il No, scelta su cui sono schierate tutte le opposizioni, la Costituzione rimarrà invariata. Dopo una iniziale personalizzazione della campagna referendaria, con l’annuncio di volersi ritirare dalla politica in caso di sconfitta del Sì, Renzi ha provato a spersonalizzare la partita. Ha prima annunciato che si sarebbe dimesso solo da premier e non da segretario Pd, poi ha smesso del tutto di parlare di dimissioni, per “concentrare l’attenzione sui contenuti” della riforma.
Nonostante il premier abbia levato dal tavolo le sue sorti politiche future, l’opposizione continua però a impostare la campagna contro l’operato dell’esecutivo, e non c’è dubbio che altre valutazioni, più o meno distanti dal merito della riforma, peseranno sulla scelta degli elettori. Lo sa anche l’inquilino di Palazzo Chigi, il quale, non a caso, sta cercando di sfruttare ogni spazio per fare una manovra di bilancio meno austera possibile, che gli consenta di giocarsi la carta di una riduzione delle tasse senza dover praticare troppi tagli scontentando, per forza di cose, almeno alcune categorie di cittadini.
La campagna referendaria si concentrerà quindi sui contenuti della riforma, ma non saranno infrequenti le divagazioni. Deviazioni dal tema del referendum riguarderanno il bilancio dello Stato e i rapporti con l’Ue, che il capo dell’esecutivo spera non avanzi troppe obiezioni. Da questo punto di vista, visti gli endorsement arrivati da Angela Merkel e dalla stessa Commissione europea per la riforma costituzionale italiana, non è infondato immaginare che Bruxelles avanzerà a denti stretti, quasi sottovoce, le proprie critiche. E presumibilmente ne avrà per una legge di bilancio che si preannuncia ancora una volta più generosa di quanto pattuito, visto che dalla promessa di mantenere all’1,8% il rapporto deficit/Pil, le indiscrezioni parlano di una finanziaria si spingerà al 2,3% o addirittura oltre.
Altro tema ‘europeo’ della campagna sarà la gestione dei migranti. Su questo l’Italia è riuscita a smuovere la Commissione europea, che nell’ultimo anno si è attivata per la revisione del regolamento di Dublino, per la redistribuzione dei richiedenti asilo, e ha infine anche accolto la proposta italiana di un migration compact basato su accordi e investimenti con i Paesi africani. Ma il Consiglio ha puntualmente rallentato, annacquato o rinviato ogni decisione. Difficile che uno scatto dei partner europei arrivi in tempo utile, dunque.
Per questo Renzi è deciso a fare da solo sull’immigrazione e a forzare la mano sulla flessibilità di bilancio. Al di là della bontà o meno della riforma, sa che per vincere il referendum dovrà convincere gli elettori anche sulla base del proprio operato e della forza che riuscirà a mostrare in Europa. La dialettica con Bruxelles e le altre capitali dell’Ue, dunque, si farà più accesa nelle prossime dieci settimane che ci separano dal 4 dicembre.